Le malattie

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In questi anni ho visto conoscenti, amici, e congiunti, ammalarsi.
A colpirmi sono sempre stati gli attacchi improvvisi, imprevedibili, che lasciano le persone ancora in vita e parzialmente abili, per periodi più o meno lunghi, a seconda dei caratteri, della volontà, delle risorse segrete e insospettabili che ciascuno mette in gioco nei momenti estremi, in quella disponibilità a vivere comunque, almeno sino a quando una vita sia degna di essere vissuta.
Ma non siamo noi a rendere una vita, questa vita, degna di essere vissuta? Anche indipendentemente dalle malattie?
Certo dipende da chi ci sta dattorno, se siamo amati o meno, accuditi o trascurati, accettati o rigettati nell’indifferenza, anche se prima della malattia eravamo “qualcuno”.
Osservando le patologie e le fulminee catastrofi fisiche, impensate e imprevedibili, che si sono abbattute su persone a me care, mi sono spesso chiesto se le malattie ci assomigliano. Voglio dire che la malattia, anche quella che irrompe nella casualità di un giorno, o di una notte, forse esprime una segreta continuità con quello che siamo.
Potrei anche vergognarmi nel dirlo ma, alcuni miei amici colti da ictus o ischemia, che oggi vedo rallentati e sospesi, avevano già una certa naturale lentezza nel conversare e nell’elaborazione del pensiero e che, pur in possesso di grande intelligenza, oscillavano in una certa atonia o improvvise zone vuote del discorso che, in genere, venivano giustificate con le consuete considerazioni sul carattere: riservato, timido, insicuro.
Non posso fare a meno di effettuare un percorso a ritroso, di fronte ad una persona disabile per cause improvvise, cercando relazioni tra il prima (il sano ) e il dopo (il malato) e concludo sempre, e pericolosamente, accettando una relazione che forse ci vede malati da sempre, e che l’imponderabile, molto probabilmente, è ciò che già ci apparteneva.
Noi siamo la malattia.

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