Una città

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Le lucciole non erano mai sparite per il semplice fatto che non erano mai esistite, la poesia non era mai esistita, e l’unico separatore temporale, assai poco poetico per la verità, consisteva nella fulminea sparizione dei campi, di tutti i campi, e nella rapida metàstasi cementizia che ingoiava da un giorno all’altro pezzi di storia, per quanto irrilevante e fragile quella storia fosse per noi. Se si fosse pazientato qualche anno anche il risicato finto Ottocento sparso qua e là avrebbe meritato un suo riscatto storico. Nessuna salvezza per il Liberty villereccio che punteggiava le colline vista mare immediatamente aggredito da un esercito di geometri e ingegneri che si erano dati la voce, compagni di sbronze pitagoriche risolte in un delirio di cubi e parallelepipedi. Presero in prestito l’affettatrice dei salumieri, tagliando la terra in lunghe fette rettilinee intersecate ortogonalmente da fettine più minute in modo che piccole città stavano dentro un’altra, e così via, all’infinito, come mastrjoske labirintiche che non riesci più a ricomporre. Esauriti in fretta i pochi nomi storici conosciuti le strade presero i nomi delle città italiane, poi di quelle straniere e nei momenti di riposo dopo tanto affaticamento cominciavano a chiamarsi Strada da denominare numero 1, 2, 3… I bar si moltiplicarono, sparirono i giochi insieme allo spazio ed esplose il Flipper mentre per i pochi poeti foruncolosi e pallidi rimaneva ancora qualche sparuto Juke-Box; cento lire tre dischi ma non trovavi mai le tue canzoni.
Nasceva un’asilo, poi una scuola, temporanei mini-market quale illusoria trasformazione di bottegucce olio pane e vino presto spazzati via dai super e dagli iper avanguardie dei non-luoghi che bisognosi di parcheggi sempre più ampi stendevano i loro tappeti di bitume e cemento, sparivano le parole in dialetto sostituite da una neolingua che sapeva di italiano rifatto o cucinato non si sa dove parlato da ragazzi per fortuna quasi per bene miscuglio di codici genetici incomprensibili, ragazzini tirati su da tutta quell’esplosione di precotti surgelati e congelati cena in rosticceria stasera. Il tempo e lo spazio si rattrappivano, sparivano il surplace e la noia, ma questa è tutta un’altra storia.

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