Autostrade

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Non c’è il fascino, come in Roma di Fellini: tutte quelle auto ferme nel raccordo anulare, tutti fermi e chiusi nei loro misteriosi abitacoli, senza climatizzatore. I vetri oggi sono oscuranti, si vede poco dentro. Una coda in autostrada – una stradina chiamata A14 – lunga chilometri. Una rassegnazione, ormai, quasi da paese totalitario. Fortunatamente hai il kit di sopravvivenza quando viaggi lontano dalla civiltà: acqua, panini, latte pannolini e biberon del pupo, succhi di frutta, analgesico, caffè nel termos, profilattici e creme abbrozzanti.
Forse, se tutto è sballato e va in malora conviene; per reciprocità si è spinti all’illegalità e all’anarchia, genos italico. Verrà un giorno l’asso pigliatutto, Veltroni, e sistemerà tutto: nelle lunghe code autostradali verranno distribuite copie gratuite dei suoi libri (le paghi al casello). Puoi tentare la statale, ma è quasi lo stesso. Il viaggiatore poi vede paesi tutti uguali, stessa edilizia, stesse attività commerciali. L’inquinamento visivo pubblicitario è atroce, più il paese è piccolo più grandi sono le insegne e più stravaganti i nomi delle miriadi di pizzerie, ristoranti, bar. Il piccolo ama la grandezza. Inutili semafori sembrano sistemati appositamente per farti leggere comodamente le pubblicità. La metà degli italiani gestisce bar ristoranti e pizzerie, l’altra metà è a dieta. Qualcosa non funziona. Ricorda quella definizione data da Hemingway degli italiani: la metà scrive poesie e romanzi, l’altra metà è analfabeta. Se ne deduce che la metà che legge, o che scrive, è autoreferenziale; non esistono lettori. Tra otto ore saremo a casa. L’Italia si allunga.

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