Pescara e Flaiano

antonio-marchetti-flaiano.jpgLa città di Pescara è per Ennio Flaiano il luogo fisico e immaginario dell’infanzia e della giovinezza, di una mitica innocenza – che Roma presto gli farà perdere –, delle dolci estati al mare, delle amicizie consumate nell’oziosa attesa della guerra. Ma è anche il luogo del dolore, quello di un figlio che si sente rifiutato dalla famiglia.Un padre speciale, “una specie di Grandet abruzzese, magnifico e avaro, sensuale e furbo, disonesto e sentimentale”, una “madre piangente” e infine la compagnia dell’inimicizia dei suoi fratelli.Negli anni del distacco e della distanza Pescara crescerà come un blob organico, anticipando incredibilmente i tratti antropologici dell’italiano nuovo: “ credono ancora che la felicità sia nel darsi da fare, sia altrove.Sono fieri delle loro conquiste tecnologiche, tutti hanno una barca a motore, tutti credono nell’arredamento”, scrive Flaiano dei pescaresi. Pescara assumerà nel tempo i tratti viventi del suo aforisma più riuscito.La città è il laboratorio avanzato per la pratica del nuovo, del moderno, dell’incessante movimento verso il futuro.La microstoria si concentra in un fazzoletto di centro storico, corso Manthoné, la strada in cui Flaiano è nato, a pochi metri dalla casa natale di Gabriele D’Annunzio. Ma la microstoria è anche occasione per restituire ad Ennio Flaiano le parole che spesso gli sono state rubate, parole marcate da una “abruzzesità” inconfondibile. Esse serpeggiano nelle sue sceneggiature più famose, da I vitelloni a Otto 1/2.Ma al di là delle parole la città originaria sarà ormai incuneata nei tratti e nei gesti dell’uomo Flaiano, “uomo dolce” e “bambino cattivo”.

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