Il collezionista si è fermato a Rimini

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quarto potere variosondamestesso

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Nel leggere il testo di presentazione sul ciclo di incontri sul collezionismo promosso dalla galleria Percorsi/Arte Contemporanea di Rimini – il titolo è : “Collezionismo. La magnifica ossessione” – immediatamente mi sono tornate alla memoria alcune immagini di Citizen Kane di Orson Welles:  le lunghe sequenze dei magazzini della dimora-castello di Charles Foster Kane, Xanadu. La mostruosa collezione di oggetti d’arte del magnate americano, molti dei quali ancora imballati e piombati in enormi casse di legno.

Per questa lunga, delirante, panoramica piranesiana quasi finale valgono le considerazioni di Walter Benjamin circa la liberazione dell’oggetto dall’insieme delle sue relazioni funzionali attuata dal collezionista.

Il castello Xanadu è in realtà quello di San Simeone del collezionista Hearst, e la sua patologia predatoria dimostra che la realtà supera l’immaginazione di Welles. Lo stoccaggio delle opere messo in pratica da William Randolph Hearst, negli innumerevoli suoi magazzini sparsi per il mondo, ci ricorda un cimitero. E i cimiteri hanno sempre avuto un fascino a cui è molto difficile sottrarsi.

Facciamo un piccolo esempio attraverso la miniaturizzazione di una collezione.

Ammettiamo che io decida di collezionare matite, con alcune caratteristiche che dovranno “marcare” la mia raccolta: essere matite che provengono da tutti i paesi del mondo e che rechino un segno grafico che definisca la loro provenienza (città, luogo, museo, istituzione, negozio). Terrò le mie matite appuntite in un cassetto, o in bacheca, o allineate in piedi come tante piccole lapidi che si ergono nel mio “campo” sacro, nel mio cimitero. Non mi sognerò mai di usarle per disegnare o scriverci. Ho raccolto le matite organizzandole seguendo un Rigor mortis tutto mio. Ho salvato e conservato le matite dal consumo e dalla dispersione, ma al tempo stesso ho sottratto loro la funzione. Chiunque decida di collezionare qualcosa, anche acquistando qualcosina dal giornalaio, dovrà prima o poi munirsi di “vetrinetta” o camposanto domestico. È solo questione di scala.

Che sia l’ala della morte (nelle sue infinite “nuances”) a volteggiare sulla testa di un collezionista lo scopriamo nelle forme estreme, come in quelle di Ryoei Saito che voleva essere rinchiuso nella bara insieme al suo “Gachet” di Van Gogh e con questi bruciato. Qui l’idea di sottrarre al mondo la funzione di un’opera d’arte (o almeno la sua “esponibilità“) si affastellava in epoca ancora pre-globale alla tradizione giapponese di rendere “invisibile” le collezioni, di coprire e conservare gli oggetti preservandoli dallo sguardo “pubblico”.

Fortunatamente i grandi collezionisti sognano cimiteri più grandi, fondazioni e musei aperti a tutti, progettati da archistars che garantiscono l’immortalità della loro avventura. Soprattutto l’immortalità del loro nome.

I Musei di oggi sono, e saranno, i nuovi cimiteri della contemporaneità?

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