Collezionismo. Ossessione riminese?

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antonio marchetti archive

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Tra i vari parametri, diciamo “estetici”, con cui il collezionista americano Joseph Herman Hirshhorn sceglieva le opere d’arte uno ci colpisce inaspettatamente: “scelgo il quadro che mi fa sentire debole”.

Dopo una rapida ricognizione da un mercante d’arte Hirshhorn sceglieva le opere e diceva semplicemente “me li incarti”.

Qui il potere d’acquisto sta in posizione frontale rispetto al potere dell’arte, ben oltre le considerazioni affascinanti di Simon Shama.

Sentirsi deboli può voler dire tante cose.

Ad esempio il collezionista non ha molto tempo, tuttavia diffida degli intermediari, mentre oggi gli Art Advisors proliferano e interfacciano il sistema dell’arte. Hirshhorn non ha tempo, segue dunque un “istinto” e messo di fronte  a ciò che lo “indebolisce” decide di acquistare.

Naturalmente il principio di debolezza di un uomo forte e potente come J. H. Hirshhorn deve fare i conti con il principio di autorevolezza di un artista e del suo lavoro. Autorevolezza spesso non ancora “sancita” dal Mercato e dal Sistema, o dalla Società dell’arte, un’autorevolezza ancora debole.

Siamo in un periodo storico americano ove collezionare l’arte significava anche affrancarsi una storia ed una cultura che veniva avvertita ancora deficitaria. Il nuovo mondo (ove la parola “mondo” sta anche per “mondare”, rinascere) vuole farla finita una volta per tutte con il vecchio complesso di colpa nei confronti dell’Europa (rileggersi, magari, “L’americano” di Henry James). Tuttavia si tratta di un istinto che previene, poi dispone, inevitabilmente, il Mercato. Hirshhorn era attento agli artisti giovani (chi acquista muove dei pezzi nello scacchiere allo stesso modo di chi vende, o rivende) e giocava sulla quantità, per non sbagliare. Questa quantità, il più delle volte, apre al principio di dépense, del puro dispendio che ha smarrito lo scopo. Ma nel caso di Hirshhorn il dispendio e l’accumulo si arrestano nella “debolezza”. La quantità è come frenata di tanto in tanto dallo scemare delle forze di fronte a “qualcosa”, che viene avvertito come unico, esemplare.

Ci sono opere d’arte troppo “forti”  e “potenti”, verso le quali non è consigliato opporre troppa resistenza? Cos’è dunque questo qualcosa?

Sale alla memoria quel nazista pazzo, sadico e criminale del generale Tanz, serial killer di prostitute, nel vecchio film di Anatole Litvak “La notte dei generali”. Tanz di fronte ad un autoritratto di Van Gogh guarda allo specchio la sua tabe, perde le forze; il suo potere pare dissolversi nelle vertiginose spire pittoriche dell’artista olandese.

Anche questo è un modo per sentirsi deboli.

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vedi iniziativa su:

http://www.percorsiestravaganti.it/PerCorsi%20EstraVaganti,%20galleria,%20attività.html


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