Surplace

cielo2

.

Astratte e rigorose geometrie si proiettavano ortogonalmente sui campi vuoti. Non un segno, non una recinzione, nessuna misura sosteneva o comprovava le regole del gioco del calcio. Solo due sassi o due libri di scuola per segnare le due porte mentre per il resto era tutto a colpo d’occhio. Se la palla era fuori era fuori, non si discuteva, anche se nessuna linea bianca delimitava l’interno dall’esterno. Il corner, dopo estenuanti litigate con crolli di amicizie, veniva definito allo stesso modo, astrattamente, perché l’interno, l’appartenere ad un dentro, era sentito visceralmente.
Non c’era metà campo ma il palla a centro era la perfezione della geometria piana.
A seconda del numero dei giocatori il campo cambiava dimensioni proporzionalmente, secondo un’istintivo e ferreo sistema della sezione aurea.
Per il gioco di rubabandiera un tracciato rettilineo feriva leggermente il terreno, segno di fondazione di due mondi, di due spazi, di due gruppi umani agonisticamente uniti e contrapposti.
Al centro dei due spazi divisi, opposti ed infiniti, sulla linea terrestre, una statua umana immobile e congelata lasciava penzolare il fazzoletto da rubare. Uno dei due contendenti doveva sottrarre lo straccetto senza farsi toccare al momento della fuga per il rapido rientro nel suo gruppo.
A volte lunghi e tesi minuti di immobilità imprigionavano i due avversari che si studiavano a vicenda, mentre le mani sfioravano appena la bandiera ormai incadescente.
Questa sospensione carica di energia, questo tempo fermo ove tutto è immobile, persone campi case e tutto il resto del mondo, si chiama surplace.
Nelle gare ciclistiche si resta immobili a volte per molti minuti, non si avanza e non si retrocede. I ciclisti si studiano restando in equilibrio sulla bicicletta, ognuno osserva la tecnica dell’altro.
La velocità è contenuta nella sospensione immobile carica di tensione del surplace.
Nei campi passavamo interi pomeriggi a gareggiare con le nostre vecchie biciclette restando in surplace.
Ma questa condizione immota pronta allo scatto si estendeva anche al quotidiano, ai pomeriggi vuoti e fermi in un cielo azzurrissimo a non far niente, a ozieggiare, con i muscoli tesi pronti alla partenza, nell’attesa di qualcosa di portentoso e avventuroso, in surplace.

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.