Elio Di Blasio. La penombra. (uomini pescaresi)

La creazione di forme proviene sempre da una interiorità.
Le opere assomigliano ai loro creatori e i modelli preesistono all’invenzione.
Le donne di Picasso erano già cubiste, bisognava solo tradurle. Lui forse le aveva già “scomposte”, al vivo.
Potrebbe trattarsi di un dato somatico, un tratto dell’anima, un autoritratto distribuito in tipi, un carattere geografico o terra di appartenenza, un paesaggio interiorizzato; introiezione incancellata come nel materno grembiule fiorito in Arschile Gorky. Si dipinge comunque sempre se stessi.
Se c’è un pigmento cromatico che possa definire una tersa marina adriatica o un cielo d’altopiano abruzzese questi sarebbero riscontrabili nella striata pozza azzurra degli occhi di Elio Di Blasio.
Lui guardava con questi occhi, già in fase fetale impastati con la stessa sostanza materiale e cristallina del mare e del cielo e, di conseguenza, dipingeva ciò che era già presente nel suo occhio.
Fortuna dei pittori!
Essi si sono definitivamente spenti, ad età veneranda, a compimento di una vita ben spesa, accompagnata negli ultimi anni dal meritato riconoscimento pubblico della comunità pescarese. Uomo di battaglie, alimentato da un sano furore polemico, capace di tenere il punto con caparbietà e tenacia ma consapevole di agire in un teatro – luogo virtuale della vita, ove le cose, anche drammatiche, accadono, ma pur sempre e solo sulla scena – viene fermato nella sua irruente vitalità da un ictus, intorno alla metà degli anni Novanta, menomandolo visibilmente in forma asimmetrica in alcune funzioni. Dopo tenaci sforzi riabilitativi riesce a mettere in scena anche questo accidente, lo “gioca” nella vita, grazie anche alla sua innata socialità ed alle presenze giovani e vitalistiche di cui ha sempre amato circondarsi e, non ultime, picassiane e affascinanti amicizie femminili che dimostrano come solo aprendosi alla propria componente femminea, attitudine accentuata negli artisti, si possono davvero amare le donne.
E, naturalmente, la pittura.
Appena qualche anno fa avevo scritto una pagina per lui:
«Elio è qualità gassosa, leggera, tendenzialmente instabile e impermanente. Elio è anche il nome greco della divinità solare, è la personificazione stessa del sole. Tuttavia, nonostante crediti patronimici così aerei, volatili e celesti, Elio Di Blasio è e rimane uomo e artista di terra. I suoi cieli sono trascritti stando ancorati nella solida e protettiva crosta terrestre mentre i suoi segni di terra non sono il risultato visivo dell’occhio alato ma semplicemente un distacco verticale, anch’esso radicato a terra, solo un po’ più alto, come può esserlo un colle, un altopiano, una montagna.
Alto-basso, verticale-orizzontale, superficie-volume, retta-curva, sempre con solide ramificazioni al globo terrestre, sono gli elementi di permanenza della ricerca di Elio; qualità che specularmente definiscono anche la morfologia paesaggistica dell’Abruzzo.
Il suo tragitto è sempre stato informato dal tentativo di sintesi delle diversificate e dialettiche forme terrestri, costanti, tendenti alla ripetizione differenziata.
Perchè se è vero che l’instabilità e l’impermanenza sono un tratto del suo onomastico è nella permanenza dei temi che il gioco investigativo si fa interessante e fissa uno stile.
Nel destino contenuto nel nome, tra l’effimero e la volatilità delle mode (la qualità gassosa appunto) e la luce abbagliante della vanità mondana (il dio Sole), Elio occupa un punto equidistante rappresentato dalla penombra. La durata.
Per paradosso tale condizione intermedia finisce per assumere nel tempo- in quello che si è speso personalmente ed in quello vissuto dai testimoni – una netta densità luminosa sua propria, la cui collocazione nessuno potrà più ormai rimuovere.
Oggi, con un pò di caratteristica impudenza e con spalle ancora forti, con i piedi saldi a terra e la testa verso il cielo, Elio tenta eroicamente di tener fronte, come meglio non si potrebbe, al terribile motto di Emil Cioran: “Occorre molta insensibilità per affrontare l’autunno”.»

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