Franco Summa. (uomini pescaresi)

Franco Summa è sempre stato al di sopra della sua pittura. Franco Summa è sempre stato al di sotto della sua pittura.

No, non spaventatevi, non vi si vuole praticare una tortura ma, più semplicemente e svagatamene, verificare se le due proposizioni, opposte e speculari come in uno specchio, siano entrambe vere. Ci proverò. Intorno alla metà degli anni Settanta del Novecento Franco Summa era vitale e creativo pressappoco come lo è tuttora. Ricordo una sua mostra a Pescara ove l’artista esponeva quadri di forte intensità cromatica, con una tecnica, che lo rese tra l’altro piuttosto famoso, che mutuava l’occhio fotografico in quello pittorico ma in maniera molto distaccata dalla moda Pop. Le immagini rappresentavano la sua città, Pescara, vista da angolazioni originali e spaesanti; le soluzioni compositive quasi precipitavano nell’astratto, tanto la “riconoscibilità” era distanziante. Nel vernissage, l’artista aveva invitato un Assessore che introduceva l’opera esposta e le tematiche in essa contenute e, bisogna riconoscere, il dibattito che ne seguì anticipava alcune problematiche che son venute fuori con maggiore chiarezza solo qualche anno dopo; l’ambiente, l’assetto socio-urbanistico, la qualità architettonica, l’inquinamento visivo. Tuttavia la parola dell’”impegno” sociale lasciavano del tutto indifferenti i suoi quadri che se ne stavano sornionamente e aristocraticamente appesi al muro della galleria, godendosi una vita autonoma tutta loro. In particolare, un quadro mostrava la spiaggia con gli ombrelloni in un gioco di ombre e di luce solare, risolte in un’accesa bicromia, e nella loro bellezza segnalavano più degli altri il sertirsi orfani di senso, volendo semplicemente, orgogliosamente, dichiarare il loro “formale” ed estetico esserci nel mondo. Suo malgrado, Summa è homo aesteticus. Allora, perché invitare un “politico” a parlare d’arte? Perché spiegare un quadro, svelandone le intenzioni, ed esprimere in fondo una totale sfiducia nell’osservatore e sulle sue capacità di disvelamento e di libertà di analisi? Le risposte possono essere molteplici. Le sintetizziamo in alcuni punti. Primo: In quegli anni l’impegno sociale e politico era quasi un obbligo e l’ideologia serpeggiava sia nelle forme alte che in quelle più miniaturizzate dei rapporti interpersonali; una scelta ideologica era necessaria, pena la sopravvivenza stessa in quel mondo così strutturato, fatto di relazioni illusorie quanto pesantemente reali. Secondo: Franco Summa ha avuto una formazione umanistica; si è formato e laureato con Giulio Carlo Argan. Le sue mani tecnologico-artigianali sono impastate sì di colore, ma gli occhi guardano ai classici. Quella mostra pescarese non si rivolgeva ad un pubblico ma al Principe, e ai politici amministratori che, ormai, avevano sostituito, per lui, quel referente opaco e instabile rappresentato da compratori o collezionisti. Summa ha sentito ipersensibilmente la perdita di autorità dell’artista (la morte dell’arte) e ne ha rivendicato la presenza in un nostalgico, eroico, appassionante sogno rinascimentale. Ma siamo in una città di provincia del XX secolo, non a Firenze.Vorrei ricordare in proposito un’altra mostra di questo dinamico artista svoltasi in quegli stessi anni, all’Hotel Esplanade di Pescara, ove venivano esposti ritratti degli uomini illustri della città.L’Hotel Esplanade, per interderci, è un po’come il Grand Hotel di Rimini, stesse caratteristiche, lo stesso mare, stesso prestigio ma meno kicht, meno “felliniano” per intenderci. I “guru” della nuova Facoltà di Architettura all’epoca alloggiavano lì; entravano spavaldamente in Loden e scarpe Clark con il codazzo di fanciulle adoranti che, pur femministe, avrebbero volentieri lavato loro calzini e mutande e chissà cos’altro ancora. In questo Hotel, Summa esponeva questi ritratti, che venivano venduti a prezzi bassissimi, “politici” si diceva all’epoca. All’opera in esposizione veniva volutamente decretata una “sprezzatura” dal punto di vista del mercato, evidenziando invece un meccanismo che oggi chiameremmo mediatico. Il valore non risiedeva nei quadri ma nel glamour sollecitato dall’operazione. All’artista non interessava certo vendere il quadro, al di sotto persino delle “spese” d’opera, ma “vendere” – in senso ancora “rinascimentale” – se stesso, proporsi dunque alla pari con gli “illustri” cittadini, come un novello Leon Battista Alberti, e in questo, dobbiamo ammetterlo, nella scelta del luogo e del tema, Franco Summa è stato anticipatore di un sogno audace e intelligente. Terzo: Franco Summa ha sempre custodito, e ben espresso, una certa vocazione pedagogica- educativa. La sua esperienza di insegnamento ne è la prova. La sua metodologia didattica, sensibile memoria dell’oggettività tramandata dalle scuole europeee, Bauhaus in primo luogo – altri insegnanti ne parlavano ma lui metteva in gioco Paul Klee e Joannes Itten sul serio nella didattica quotidiana – imponeva un’impostazione metodica e scientifica; la soggettività era tenuta sotto sospetta osservazione.Infatti, tra i suoi allievi, prediligeva più la diligenza che il talento. Quarto: Franco Summa è, come tutti gli artisti di valore, grandemente narcisista. Nonostante la sua metodologia didattica reciti il tramonto del soggetto, annunciando il nuovo mattino dell’operatore estetico-visuale assoggettato alla nuova razionalità, mentre il suo lavoro si nutre di agganci appigli e rampini nel sociale, quasi volesse sprofondare in esso, il suo gesto, contrariamente, è di purissimo individualismo, con vaghi e lontani echi futuristi. Devo confessare che questa contraddizione, ammesso che me la si lasci passare, è ciò che apprezzo di più di questo artista e che me lo rende affascinante. Ognuno è quello che è; non tutti oggi hanno il coraggio di essere qualcosa. Con persone così limpide, chiare nella loro complessità e contraddittorietà e persino nei loro tratti più, diciamo, antipatici, è molto più facile stabilire le coordinate terrestri dentro le quali con-vivere o sopra-vivere. Aderire od opporsi è il gioco di una comunità che comunque partecipa. Forse era questo il sogno della polis di Franco Summa. Sogno infranto e perdente. Vincono oggi l’indifferenza e l’indifferenziato. Ma i suoi quadri, pensati al di sopra della pittura, ormai lavorati dal tempo, possono apparire al di sotto della narrazione ideologica, e guadagnarci. Ecco perché il suo lavoro può, alternativamente, essere al di sopra o al di sotto delle proprie intenzioni. Pittori così, capaci di salire su uno sgabello in un giorno qualsiasi per farsi ascoltare, facendosi scultura parlante su di un piedistallo, dubito ce ne saranno ancora.

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