Settimana

Ricordo una scultura, una lupa romana parlante, di Franco Angeli.
Anche oggi abbiamo una scultura pop che parla e che dice: “questo governo è antiamericano”.
Forse questo governo è critico con l’”attuale” amministrazione americana. Così va già meglio.
Così come non si è contro Israele, o addirittura antisemiti, ma critici nei confronti dell’attuale governo di Tel Aviv, e allo stesso modo non erano antitaliani coloro ai quali non piaceva la nostra scultura pop e i suoi lacché.
Essere antiamericani significherebbe poi essere un po’ contro noi stessi; non ce ne sarebbe nemmeno bisogno perché lo siamo già per conto nostro.
La voce registrata dentro la lupa lombarda si sta esaurendo? Speriamo.

Si avvicina il 27 gennaio, Giorno della Memoria. Nel 1945 furono aperti i cancelli di Auschwitz. Ma il viaggio descritto da Primo Levi, durato dieci mesi, dopo la liberazione, è terribile quasi quanto la vita nel campo; è l’angoscia della “libertà” nel deserto.
Sul quotidiano La Repubblica di oggi c’è una bella testimonianza di Paolo Rumiz in proposito; ha ripercorso il viaggio di Primo Levi, mescolando passato e presente in uno stile spaesante e perturbante.

Il suicidio (?) di Primo Levi si è riavvicinato qualche settimana fa, quando il Presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha organizzato un convegno “internazionale” sulla negazione della Shoah, continuando a minacciare la distruzione di Israele.
“Voglio un mondo senza Israele”, dice lui.
“Lui” vuole un mondo, tutto suo, ma oltre a volerlo lo vuole anche senza qualcuno.

Quest’uomo, dal look così insignificante e anonimo, che indossa una specie di divisa della banalità, a qualcuno potrebbe apparire improbabile e patetico, come poteva apparire Adolf Hitler negli anni di Monaco.
La sottovalutazione è uno dei nostri migliori difetti; su eventi quotidiani e minimi tendiamo ad un eccesso di drammatizzazione, mentre davanti ad annunci di uso dell’atomica, o minacce di nuove pulizie etniche, tendiamo a schivare o a rimuovere.
Siamo fuori scala.

Al di là delle retoriche commemorative, quello che ancora mi riecheggia, in questo nuovo 27 Gennaio, è quella parola incomprensibile che nessun testimone riusciva a comprendere, la parola di Hurbinek, che Primo Levi ricorda ne La tregua:
Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva.

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.