Il declino di Montepagano

Nel luglio del 2007 avevamo scritto di Montepagano e della manifestazione Trasalimenti.Sul quotidiano il Centro di qualche giorno fa vengono riportate pessime notizie su questo antico borgo: negozi bar e botteghe chiudono. Il paese si spopola.Il fenomeno è perfettamentte inscritto negli sconnesi rapporti di scala che la maggior parte degli abruzzesi – paradigma italiano oltre che locale – hanno con i luoghi ed il concetto di “progresso”.La grandiosità e l’illimitato animano la furia futurista di questa regione. La città commerciale, il grande museo all’aria aperta di arte contemporanea, l’infaticabile riscatto da un innato senso di inferiorità e fatalismo che si materializza nel linguaggio dell’iperbole, della maestosità, dell’onnipotenza, della retorica megalomane (megalò è il nome di una famosa città commerciale) appartenente all’ordine gigante lasciano dietro di sé le microstorie, le miniature di vita quotidiana, spazzano via le innumerevoli isole di Lilliput che costituiscono la ricchezza dell’Abruzzo, i veri monumenti all’aria aperta che, se valorizzati come ready-made, con pochi investimenti, sono già contemporanei, costituiscono già un museo, europeo, se svincolati da quei deliri “europeisti” marinettiani da villan rifatto. Bisognerebbe ripartire dai mattoncini Lego, un mattoncino alla volta, pensare non al futuro ma alla durata, non alla contemporaneità (o simultaneità) ma al presente.Conosciamo il ricatto: sei contro lo sviluppo, sei conservatore, sei nostalgico, non comprendi le sfide globali, sei marginale, sei minoritario, sei “perdente”, sei “rompiscatole”, sei inutile e inattuale.Gli artisti possono fare molto in questo senso, non tanto inaugurando fontane e sculture nel grande festival dell’arte abruzzese, ma inaugurando una stagione del silenzio. Un silenzio dialogante. Un giorno vuoto. Un lungo shabbat. Inerpicarsi a Rocca Calascio o a Santo Stefano o a Montepagano e stare zitti, non fare nulla, astenersi. Astenersi con passione.Antonio Marchetti ©

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