Tornare a Ravenna

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Il giudizio sulla città in cui si vive deve sempre tener conto di quello distaccato e straniero di chi è di passaggio, o di chi torni nei luoghi dove si è vissuto dopo un certo tempo. Il sapore di una città risiede  anche nel dettaglio minimo dello sguardo straniero e condisce con una sua propria pietanza il piatto collettivo che, molto spesso, risulta autoreferenziale.

Lo sguardo del distacco spesso lo si cerca nelle figure alte e consacrate dal successo, spingendo tutto nella forma di un medaglione, di una icona mediatica. Invece, quello sguardo straniero, si trova nell’imprevedibiltà della vita di ogni giorno, che ci riporta nei luoghi in cui abbiamo vissuto o che ci pone di fronte una città mai vista prima. Ciò che conta è che in entrambe le esperienze del luogo, noi siamo in grado di assaporare qualcosa di essenziale e immediato e per nulla superficiale. Andiamo in profondità osservando le forme. Questo è accaduto pochi giorni fa quando siamo tornati dopo alcuni anni a Ravenna. In questa città lo sguardo deve arrendersi a seguire due grandi forme. Una città intrusa ed una estrusa. Queste due forme non abitano in luoghi separati ma sono presenti contemporaneamente in una specie di forma sublime che aspira all’unità.

Bella Ravenna, si apre solo con password, il centro è stupendo e nella forma intrusa c’è il suo magmatico e popoloso, ma geometrico, territorio arcaico-globale altamente produttivo (a parte questo particolare periodo).

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