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Il piccolo, come il minore, tende all’illimitato, si espande nello spazio sia fisico che mentale. La miniatura tende all’infinito mentre il grande è delimitato, finito, concluso.
Posseggo una piccola opera di Franco Pozzi che è invisibile; o meglio, non visibile dentro i parametri abituali. Anche volendo non potrei fotografarla (eppure essa si intitola “disegno fotogenico”).
Si tratta di un “disegno” tracciato su un sottile strato di polvere depositato sul retro di una lastra di vetro sistemata in una bacheca.
In particolari condizioni di luce appaiono, per poi subito scomparire, segni floreali. Mi ci sono impazzito a rigirarmi questa vetrinetta tra le mani, cercando pazientemente l’inclinazione luminosa giusta.
Chissà se c’è una memoria duchampiana, “allevata” insieme alla polvere, e cristallizzata da Man Ray e poi giunta, tramite Pozzi, nella mia stanza… Credo di sì.
Più si è invisibili più bisogna essere sapienti e per scomparire, forse, bisogna essere anche un po’ saggi.