Hai una nuova richiesta di amicizia…

.

antonio marchetti piccolo santuario

.

La lingua è costretta a rattrappirsi sul web e nei social network, o implodere in una ripetizione ridondante di consonanti e vocali finali che segnano il grado zero emozionale: Facebook docet.

Qui siamo quel che siamo, qualcuno migliora, ma molti peggiorano. Peggiorano, purtroppo, persone intelligenti e colte, under 50. Chi vive lontano dalle città, in campagna, nelle periferie o in abitazioni dislocate in zone urbane grigie è connesso ma si muove molto di meno. Al contempo, chi viaggia, sente il bisogno di marcare la sua mobilità in una fissità pubblica, da narcisismo secondario. I giovani sono più a loro agio. Il carotaggio sulle generazioni rivela un quadro sconnesso, di difficile integrazione. Le immagini, che dovrebbero “narrare” un profilo personale,  vengono spesso giocate tra immanenza diaristica  e graffiatura esibizionistica, in una scollatura tra l'”esserci” o il “non esserci”, (mutazione dell’interrogazione amletica nel contemporaneo), nella rete come nella vita. Gli album fotografici diventeranno archivi funerari. La mitomania imperversa, viaggi virtuali e viaggi reali si mescolano. Con 50 “amici” su FB puoi comunicare, con 500 godi dell’impermanenza e dell’ineffabile. Con 2000?

Qualche anno fa qualche intellettuale post-DAMS aveva teorizzato che la limitatezza dei caratteri digitabili in un SMS avrebbe prodotto una sintesi ed un affinamento della lingua. Già, ma ci si dimenticava di aggiungere che alle spalle occorre un pochino di letteratura e di buona pratica di scrittura. La rete maschera e rivela. Tutti ormai cadiamo nella trappola della libertà o nella demoniaca profezia di quel frivolo di Warhol.

L’assunzione di una lingua globale,  piatta ed orizzontale, attinge ad un vocabolario condiviso che tende a smussare  gli spigoli, attacca le parole, le modifica, ne espelle altre, neolingua autocensurata molto spesso. Tuttavia sistema sofisticato, perennemente allusivo e sospeso, orfano di un senso, o di un centro, come ormai siamo tutti. Tutti vogliono apparire e scomparire nel banale. La situazione politica italiana alimenta questo codice quasi cifrato di irrealtà con cui ci autolapidiamo, pur informatissimi.

A volte basta inserire una sola parola per generare una moltitudine di significati, che poi rotolano in un abisso di “commenti”, portandosi appresso equivoci e demenzialità gratuite (dipende dalla ricchezza sociale dei contatti), in una immanenza che si schianta subito in un presente fluido e dominante, il Tempo…; voglio esserci come non sono, inserisco l’indice romano in alto anche se non capisco, condivido perchè sono un qualunquista e non mi costa nulla ( non sempre leggo i contenuti); origine e causa di frustrazioni: perchè non mi hai commentato? come mai non hai condiviso quel mio link fondamentale? mi sento solo, quando sono online non mi cerchi e non mi  “parli” mai, sono risentito, geloso, invidio la tua sfolgorante bacheca e poi sono indeciso tra presenza e assenza. Qui annuncerò la mia morte,  la mia rinascita. Lavorare, spugnosamente, Zelig della rete, con cinismo leggero, disponibile alle tendenze dell’ultimo secondo per sottoporre merci ad indagini di mercato; e forse questo è il modo, paradossalmente ma non più di tanto, più “autentico” e sincero di mettersi in gioco nel capitalismo globale.

Le parole sono sottoposte al tornio del comprensibile e del “condivisibile”, al naturale, o si fanno esoteriche ed imprendibili, affacciandosi al mondo “nuovo” come in realtà, per chi le scrive, nuovo non sarà mai.

Possiamo raggiungere amici lontani ma con loro dobbiamo allestire diverse maschere salvifiche e di autoassoluzione.

Qualche tempo fa ho scritto una cosa carina e poetica sulla “bacheca” di una mia vecchia amica, che ricordava il titolo di una vecchia canzone, ed il marito, che la controllava su Facebook, l’ha costretta a chiudere l’account con una furente scena di gelosia. Siamo in Italia non in Iran. Eppure questa libertà sul web non passa completamente attraverso una vera libertà ed emancipazione individuale nella vita vera. Da qui una rappresentazione mitomane e falsa di sé attraverso la tecnologia. Siamo avanti, ma indietro nella sostanza.

In un vecchio film di Totò, l’attore osserva una festa estiva e mondana a Capri attraverso una finestra, una festa che fa il verso alla “Dolce vita”. Il comico dice al compagno di entrare: “Futilizziamoci! Futilizziamoci anche noi! Viviamo in un mondo futile!”

Come risolvere le nuances della presenza-assenza? Come essere invisibili ma esistere tra il prossimo? Come essere fantasmi?

René Daumal definiva il fantasma come un’assenza circondata di presenza. È la presenza a dare “corpo” ad una assenza. Una prospettiva davvero sublime. Difficile.

Domani mi cancello, dopodomani riapparirò.

.

———————————————————————————-

I tuoi contributi, caro Antonio, sono sempre attesi e graditi. Come sento mia quella sottile disperazione che ci fa arrancare in questi nostri mondi frammentati e in cerca di un contatto, affettivo diciamolo, e di aggregazione, facendoci illudere che una grande chat come FB ci faccia sentire meno soli. Ci aggreghiamo in un caravanserraglio di nomi, sigle, parole, per tenerci uniti ad un mondo di cose e persone che pensiamo affini, finendo per sperimentare invece una inarrestabile disgregazione. Un mondo di contatti che si dilatano all’infinito, come una vertigine che cattura fino all’addiction, e in cui, scopriamo con sgomento, temiamo di essere esclusi dalla subitanea disattenzione con cui l’amico si rivolge ad altri contatti con cui fa amicizia. Il nostro povero bisogno dell’altro finisce per mettere tutti sullo stesso piano, e patisce inedite forme di esclusione, assurde solo al pensarle.

Come sarebbe bello ritornare ad una “civiltà della conversazione”, vanno in questo senso tanti tentativi di contatto, la ricerca di una corrispondenza, di confronti vivaci e arricchenti. Non escludo che le mie recenti escursioni nella realtà del mondo esterno grazie all’arte, dopo tanto percorrere mondi interni autoreferenziali, siano motivate dal bisogno di significative corrispondenze non più solo legate al dare senso alla sofferenza, ma ispirate dall’esprit, dalla leggerezza, dal piacere.

Grazie del tuo pensiero, ciao, a presto,
Rosita Lappi

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.