La “lezione” Kahlfeld a Cesena

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Antonio Marchetti massa e potere.

“Gli architetti tedeschi ormai si dividono in due categorie: coloro che sono invitati dalla Facoltà di Architettura di Cesena e coloro che non lo sono”. Con queste parole l’architetto berlinese Walter A. Noebel testimoniava per la mostra di Petra Kahlfeld – professore invitato per l’anno accademico 2009-2010 – nella chiesa dello Spirito Santo nel centro storico cesenate.

Ad accompagnarmi in questa mostra è una studentessa del quarto anno che ha partecipato al corso della Kahlfeld che prevedeva un progetto di un nuovo mercato coperto per Rimini.

I progetti degli studenti sono raccolti in un catalogo “didattico”, qui presentato insieme a quello della mostra della Kahlfeld, dal titolo “Il ventre di Rimini” che sta, secondo me, tra Victor Hugo e Peter Greenaway.

La mostra di Petra Kahlfeld è allestita in modo convincente e didatticamente efficace, “tagliata” come si lavora un cristallo: freddo, trasparente e pieno di riflessi.

Il concept sta nella rappresentazione dell’architettura nel suo costruirsi e nella sua realizzazione, attraverso immagini del cantiere, algide tavole tecniche, modelli lignei impeccabili. Riecheggia in questa mostra “la fatica del costruire” dell’Alberti, titolo di un bel libro di Alberto Giorgio Cassani di qualche anno fa.

Immediatamente si coglie la presenza degli “old masters”, in primis Karl Friedrich Schinkel, citato graficamente persino nei piccoli riquadri prospettici che si insinuano tra piante e alzati.

I modelli in legno sono sistemati su parallelepipedi ad altezza “innaturale”, in un cono visivo inclinato dal basso verso l’alto, che accentua una sorta di “monumentalità“, quasi a contraddire, polemicamente, sia la scala umana che quella percettiva-realistica. Qui si comunica la “distanza”, non c’è nulla di “seduttivo” (seducono forse per la loro asetticità costruttiva), qui tutto è ricondotto alle ferree leggi di ciò che è utile al costruire l’architettura. Siamo lontani anni luce dai rendering fascinosi e dai modelli interattivi o dalle installazioni che trafficano con l’arte contemporanea delle ultime biennali veneziane. Ed è per questo che i modelli sono posizionati su basamenti alti; non puoi interagire, il punto di vista è programmato. Petra Kahlfeld presenta qui quattro progetti. Uno di essi, “piccolo”, si fa per dire, mi colpisce al cuore della memoria. Si tratta del nuovo ingresso della Filarmonica di Berlino di Hans Scharoun. Sembra che quell’ingresso ci sia sempre stato e Scharoun forse lo voleva proprio così. Bello! Qui però, il modello tridimensionale è costretto ad aprirsi ad una lettura meno “intrusa”, in un balzo creativo mimetico. Ma forse in questo c’è Berlino, a cui Kahlfeld aderisce in una fedeltà plastica oltre che filologica, contemporanea oltre che storica, innovativa oltre che tradizionale…

La conferenza, con vecchi e nuovi Presidi, ginnicamente ben risolta, trattandosi di figure di grande esperienza; studenti pochi, a parte quelli dentro il “ventre”. Completamente assente la città, con le sue istituzioni, e gli architetti; scarsi anche i professori, mi fa notare la mia giovane accompagnatrice.

Eppure questa mostra è una “lezione”, che piaccia o no, su come costruire nel corpo storico delle città. Questa mostra rivela inesorabilmente lo scollamento di questa Facoltà – ma il mio forse è giudizio affrettato – con il contesto sociale, culturale, economico e politico. Ma l’assenza “locale”, al di là dei limiti dell’università, si giustifica con l’assenza più generale ed inquietante di uno Stato e di un Governo che non pensa al futuro, tantomeno all’architettura.

La lezione Kahlfeld, lezione berlinese, è uno “schiaffo”.

Tuttavia non voglio certo diventare tedesco, a ciascuno la propria storia.

Cerchiamo di riprenderci la nostra.

One Response to “La “lezione” Kahlfeld a Cesena”

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