Quel che resta di una mostra

antonio marchetti gambalunga

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Si è conclusa il 31 dicembre dell’anno vecchio la mostra “Come ho dipinto alcuni miei libri” nelle sale antiche della civica biblioteca Gambalunga di Rimini.

Una mostra “difficile”, per qualcuno.

Ad ascoltare le considerazioni delle signore impiegate che si alternavano nella “reception” della biblioteca, da me (e non solo) sottoposte ad interrogatorio svagato, pare che le persone che uscivano dalla mostra fossero felici e rilassate.

Cosa rimane di una mostra, al di là di un catalogo-archivio?

Forse la memoria di questa piccola felicità in alcune persone, e non è certo poco. Ho sempre pensato che scopo dell’arte è quello di “dilettare”, e,  prendendo a prestito le parole di Alberto Savinio, “saper intrattenere”. Se si sfiora anche la felicità, allora, è una grande conquista. Son parole queste che solo una distorta ed equivoca concezione estetica può ritenere superficiali o desuete. Sono invece parole di verità dell’arte. Chi non pratica l’arte, o chi non fa lo sforzo di immedesimarsi con chi crea, o chi è afflitto da rivalità mimetiche (scomodiamo Girard qualche volta!), non capisce questa semplice offerta di diletto e piacere che l’artista cucina nel suo laboratorio formale.

Cosa rimane di una mostra?

Il quaderno delle firme, ad esempio, che ho qui tra le mani. In passato non avevo prestato troppa attenzione a quest’oggetto; forse snobisticamente lo consideravo un rituale inutile. Invece in questo Quaderno delle visite non ci sono solo le firme dei visitatori (o di coloro che hanno avuto la pazienza di lasciare un loro segno) ma anche brevi fraseggi, commenti, testimonianze personali. A colpirmi è la scrittura di bambini, bambine e adolescenti: “mi sono piaciute molto le farfalline” (quelle di Franco Pozzi nell’ultima sala), o il disegno di una faccia con il sorriso che affianca una firma  ben composta come in una verifica scolastica. Sono rammaricato di non aver aggiunto, nella mia sala dal titolo Il libro circolare, un quaderno da affiancare a Truffaut, quello di Jean Itard: “L’enfant sauvage”. E pensare che lo avevo preparato ma poi all’ultimo momento vi avevo rinunciato, per paura di “ridondanza”. Peccato, sarà per altra volta. Se vogliamo ricostruire qualcosa di nuovo forse oggi dobbiamo partire proprio da lì, da “Victor”.

Cosa rimane di una mostra? Stefano Bisulli ed il suo assistente Andrea Righetti, hanno realizzato un documento video molto suggestivo, “abitando” con le loro attrezzature per qualche giorno le sale dell’esposizione. Questo breve film, il cui scopo, riuscito, è stato quello di restituire la “magia” (termine usato spesso  nel quaderno delle visite) della mostra, verrà presto presentato alla città e agli amatori d’arte.

La memoria impressa nei visitatori, il quaderno delle visite, il film di Bisulli, la scatola-archivio-catalogo… in definitiva di questa mostra rimane molto, pare… Questo mio primo esordio in città, in una dimensione pubblica-istituzionale, credo sia stato molto positivo, grazie agli artisti e agli scrittori che mi hanno accompagnato e arricchito e a quelle splendide persone che lavorano in questa storica biblioteca riminese.

La morsa del pessimismo lasciatela a me, l’umore e il brutto carattere son tutti miei, errori ed intemperanze li assumo tutti ma, come a conclusione del filmato di Bisulli, lascio a Leon Battista Alberti l’ultima parola:

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Aiutare quel che s’ha da fare

e non guastar quel che è fatto

ringrazio:

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Paola Delbianco

Franco Pozzi

Maurizio Giuseppucci

Maurizio Fantini

Giampaolo Solitro

Daniele Casadio

Leonardo Sonnoli

Irene Bacchi

Valentina Boschetti

Piero Meldini

Annamartia Bernucci

Massimo Cacciari

Stefano Bisulli

Andrea Righetti

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