Israele e noi

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C’è sempre stata una sproporzione di giudizio tra le azioni militari compiute dallo Stato di Israele e quelle commesse da altri ai suoi danni, compromettendone quotidianamente sicurezza ed esistenza. Alcune responsabilità dello Stato di Israele vengono da tempo stigmatizzate utilizzando valutazioni che ruotano intorno ad un crudele processo di rovesciamento, giocando pericolosamente con la storia: azione nazista, peggio delle SS, deportazione. È evidente che dare del nazista ad un ebreo deve produrre un grande brivido di piacere a qualcuno. Israele, il paese del Medio Oriente più vicino a noi, sia sul piano istituzionale-democratico che su quello culturale e civile, è sottoposto ad un’osservazione meticolosa che non lascia passare nulla, mentre noi, qui, forse abbiamo già dimenticato nomi di luoghi come Bolzaneto ove si praticavano torture.
La sproporzione diventa eclatante quando il premier iraniano Ahmadinejad dichiara che Israele deve essere cancellata dalle carte geografiche e che l’Olocausto è “una falsa leggenda”.
Si considera Ahmadinejad come un Umberto Bossi che invita a prendere i fucili?
Si sottovaluta la minaccia perché la minaccia è rivolta a Israele e non alla Repubblica di San Marino?
La minaccia è sottovalutata perché incontra un substrato ideologico culturale preesistente che non considera Israele prossimo a noi. In un certo senso neghiamo anche noi stessi; ed in effetti lo stiamo già facendo, avendo ormai eroso una nostra identità nazionale e senso di appartenenza. Noi, forse, non siamo più un vero Stato. Eppure facciamo le pulci agli altri.
Si sottovaluta oggi Ahmadinejad come si sottovalutava all’inizio Adolf Hitler e si considerava una farsa il pusch di Monaco del 1923 e la famosa birreria e non si lesse con la dovuta attenzione il suo Mein Kampf.
Mi sono sempre sentito in minoranza ed isolato nelle discussioni, anche tra amici, quando si affrontava Israele e la questione palestinese. Parlavo con un muro, invalicabile.
Arafat, l’uomo con la pistola all’ONU e nel letto di morte, l’uomo con la moglie a Parigi che ricatta i palestinesi sull’eredità, il Premio Nobel per la pace, oggi, chi lo ricorda più? E dove sono finiti i suoi fans? Chi indossa più la kefiah?
Come mai è stata così rapida la sua rimozione, soprattutto a sinistra, quando sono venute fuori tutte le ambiguità e le furbizie squallide di quest’uomo che in momenti epocali e cruciali faceva passi indietro contro il suo stesso popolo per garantire solo il suo potere?
Il fatto è che odiare l’altro nostro simile, vicino nelle forme democratiche e parlamentari, ma lontano geograficamente, è una forma di riscatto dalle contraddizioni nostre che non vogliamo vedere (e che non abbiamo il coraggio di risolvere). La questione ebraica poi è un alibi aggravante, pesca nel torbido, negli stereotipi persecutori di ieri e di oggi.

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