Locus solus

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marchetti-gambalunga

Una felicità semplice, fatta di un lavoro dignitoso, della possibilità dell’individuo di provare quanto vale. Di ricevere quanto merita. Non è il sogno di un paradiso inesistente ma di un luogo un po’ diverso, dove l’ingiustizia, il favore, la raccomandazione del potente di turno o addirittura un posto in consiglio regionale o in parlamento, non esistano più.

Roberto Saviano

Saremo costretti a mangiarci anche noi i maestri, gli eroi, i portavoce della legalità; già si comincia. Un cannibalismo inevitabile, contenuto nei media e determinato dall’esposizione stessa degli eroi, soprattutto se gli eroi si incamminano verso il  mito, con la loro funzione riparatrice, di ricomposizione sociale e di attivazione di coscienze; miti necessari. Sarò sempre dalla parte di Roberto Saviano. Già questo mio enunciato lo trovo stupido ed impoverente. È la gabbia in cui sono costretto a scegliere, una limitazione della mente, una condizione tutta italiana ove sono libero, ma in uno spazio pressurizzato. Nelle grandi opzioni (Bene/Male, Mafia/Legalità, Giudici/Imperatore porno-pop, Saviano/Presidente della Mondadori e così via) c’è poco da discutere, stiamo dove siamo sempre stati, già da adolescenti: nel giusto e nella verità, anche con quegli antichi paraocchi ideologici. Non si può ignorare il fatto che in questo modo ci si impoverisce; subiamo perenni bicromie a stesura piatta, non per scelta stilistica, ma per imposizione del negozio di colori. Mi impoverisco nel compulsivo bisogno di informazione; più sono informato è più mi inaridisco mentre nei talk-show mi si invita a prendere coscienza acquistando un libro che viene pubblicizzato, o per andare a vedere quel film, quel teatro. È alquanto raro che un ospite televisivo non sia legato ad un business editoriale o mediatico, in senso buono, come sono buoni il successo ed il glamour. In queste barricate mediatiche tra grandi semplificazioni oppositive, dopo che sono scomparsi i partiti e le ideologie che ci chiamavano a prendere posizione, in questa immediata richiesta di una scelta sembra contenuta una forma di dominio di massa, la creazione di menti prigioniere. D’altra parte ad impoverirsi è la letteratura stessa, che deve soccombere a quella “eroica”, di “indignazione”, mobilitante, che si vende di più.

È impressionante la mole di energia economica, pubblicitaria, editoriale  e mediatica, che il declino italiano mette in campo. Per non parlare delle grandi manifestazioni di massa, sempre più originali e già confezionate per il  messaggio-massaggio dei media. Allo stupore della stampa internazionale circa l’accettazione passiva degli italiani dello stato esistente, corrisponde il mio stupore circa il grande business della “vergogna” e dell’”indignazione”, con le alte percentuali di share televisivo ove sono protagonisti gli eroi, con imponenti investimenti pubblicitari. L’accellerazione antropologica degli italiani, distorta e drammaticamente devastante, è stata determinata dalla televisione; tale rimane. Gli anni ideologici ci spingevano sino al conflitto interiore, sconciavano identità. Le grandi narrazioni televisive oggi semplificano i conflitti e ricompongono identità falsamente semplici. Identità spendibili nel mercato. Non eravamo così. Eravamo complessi. L’Italia è un disastro anche per questo: il sistema democratico collassa, ma sul collasso si fanno affari. Abbiamo firmato di tutto sul web, tutte le petizioni possibili. Non scendo in piazza da anni, per me la piazza è il caffè la domenica, o il mercato del sabato e a volte quello dell’antiquariato una volta al mese. Basta, la piazza delle nostre città è fatta per la vita e non per la controvita. Vorrei  una felicità semplice, alla Saviano. Desidero essere normale, quasi un qualunquista, un qualunquista informato, un qualunquista responsabile. Con un’etica, parola magica. Le grandi opposizioni valgono ora, ma domani, quando questo laboratorio italiano della latrina eliogabalesca forse verrà smantellato, nella speranza di un ricominciamento di cui dubito, chi mi garantirà la libertà, la sfumatura, la voce fuori dei due cori, l’autonomia di pensiero, l’audacia di essere contro per dire finalmente sì a qualcosa? Chi, chi lo garantirà? Coloro che oggi si professano i “conservatori” della legalità? Quale lingua parleremo? Quella piana ed equilibrata, moralmente depurata ed eticamente corretta (corretta dall’editor, anche), quella che oggi è lingua oppositiva e che contiene una prefigurazione di futuro e di nuovo ma che forse è solo movimentazione resistenziale e conservativa di norme costituzionali, a cui sino a ieri prestavamo una distratta attenzione? Nondimeno, la facilità con la quale viene sconciata ed attaccata da virus letali la regolamentazione istituzionale, dimostra non solo la nostra consueta distrazione storica concernente la “cittadinanza”, ma anche la debolezza degli anticorpi, oggi sfibrati in una estenuante e sorprendente “testimonianza”, spesso perdente ma che tuttavia deve farsi carico di carenze fondative. Gustavo Zagrebelsky ci mette in guardia circa l’uniformità della lingua, spia di una degenerazione della vita pubblica, e di quella politica. Ma la lingua che si contrappone alla degenerazione ed alla corruzione della vita pubblica è anch’essa spia di qualcosa: debolezza e monotonia, slogans e ripetitività, nuovi ricatti ideologico-consumistici, riduzione del cittadino a spettatore-consumatore, riduzione della tavolozza cromatica della lingua.

Una vera decostruzione della lingua del tempo presente la si fa con una lingua “altra”, che non abbiamo.

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