Simonetta Melani su “Il grande vetro”: Gineceo di Antonio Marchetti

 antonio-marchetti-holland.jpg

Simonetta Melani

Stringimi ma non troppo

 

Geniale. Questo ho pensato dell’immagine di copertina dell’ultimo libro di Antonio Marchetti, Gineceo. Occhio, sorriso, baffo ammiccante, abbraccio o animaletto palpitante nel verde morbido carnoso anello-nido fra le sue punte terminali che son radici e frutto o testa e piedi di minuto cordoncino ora bambino, ombelico, talco, culla, profumo di legno amarognolo, selvatica gioia rossa dei campi e altri giochi con altra erba in altro modo: tutto questo è il nodo di Bettina.

Si tratta di un nodo che è richiamo ad arte, frutto di gioco di lingua e di palato, un gioco infantile e quindi ironico, erotico, ma anche eroico perché non a tutti era ed è dato saperlo fare come lei lo faceva: ”Dalla ciotola prendeva una ciliegia, staccava il picciuolo, se lo metteva in bocca e te lo restituiva sulla punta della lingua annodato…”. E Marchetti, che è amico da tempo, artista e scrittore da sempre, privatamente poi mi scrive: “Mia nonna me lo faceva su richiesta (dovevo pregarla sino a ossessionarla) ma ti assicuro, lo faceva. Quel nodo, come puoi capire, è paradigma familiare, psicologico, simbolico. È nodo femminile al di là delle elucubrazioni erotiche adolescenziali del narratore. C’era in quel gesto della nonna qualcosa di virginale, di puro e incontaminato, nonostante tre figli ed una sessualità subita più che vissuta. Nodo virginale, sei d’accordo?”. Come no.

Ed è in questa scia di purezza che si muove il libro, ambientato in una città sul mare, città che soprattutto è casa, anzi case; famiglia anzi nonfamiglia; amici ma anche crude solitudini, insomma lo scorrere della vita di un ragazzino negli anni Sessanta in un paese/città dell’Abruzzo sull’Adriatico che si fa paese/città del mondo. Autobiografico? Non del tutto. L’autore, nato a Pescara, ci avverte maliziosamente che “fatti e personaggi sono immaginari”.

Il libro si annoda e si snoda, appunto, in un paesaggio simbolico fatto di amori, tradimenti, prostituzioni, inghippi, sogni, sacrifici, piccole mediocrità, sorprendenti tenerezze e nefandezze, canzonette e visioni che riemergono da un passato adolescenziale provincial/universale, da un quartiere popolare a mezz’Italia che è l’Italia intera e che impantanandosi si arranca verso l’ambita, piatta architettura d’una periferia anonima ma finalmente borghese come dio comanda: salottino buono, tinello in formica, mangiadischi e annessi e connessi, proiezione di un benessere che sarà come promette: inequivocabilmente e volgarmente traditore. Insomma, benvenuti in casa nostra ci diciamo.

E ci sguazziamo, e da lontano ne sorridiamo addirittura, con punte di nostalgica beota beatitudo, noi, vecchi bambini d’allora, come non ricordare? E Antonio tira fuori la lingua e ne fa linguaccia con buona, sottilissima cattiveria umoristica, perché sa che in fondo ciò che lo salva, al di là di tutto e tutti, è questa sua arguta ironia che ha messo radici in questo paesaggio umano a cui si adegua con una scrittura che come un surf ora cavalca l’onda fra frizzanti evanescenze e ora s’inabissa in cupi abbattimenti esistenziali: un’adolescenza che si fa stile. Come eravamo? Così, come Marchetti, ci dipinge. Tu gratti quel che non ti veste della narrazione e magicamente vieni fuori tu, quello che tu eri allora; vieni fuori proprio tu, bambino di primo pelo, generazione anni Cinquanta/Sessanta, fra il cinema, le figurine, i primi pruriti, il giubbocsse e la televisione condominiale, pane burro marmellata e quando calienta el sol.

Leggendo queste pagine sì, gratti e vinci sempre. Non puoi uscirne fuori senza un sorriso, che è tuo, solo tuo. Non puoi andare a diritto, da cima in fondo, senza soste: devi fermarti, chiudere libro e occhi, sorridere al tanto di ieri e al nulla che ora è e ricominciare: fermate d’obbligo tue, solo tue.

Ah, i buoni, cari parenti-serpenti della nostra convulsa adolescenza, che stava in bilico fra la saggezza contadina, cattiva, feroce, rude ma umana, e un futuro da cartolina a colori, sventolato come una sicura vincita al lotto, finalmente. Che si vince? Un’utilitaria presa a rate, magari una cinquecento elle che sta per lusso, poltroncina ribaltabile, finestrino aperto con radiolina, color blu notte, decappottabile pure, per vedere il cielo, blu nel blu, su una strada lanciata verso il chissà dove. Dove?

Un baiser da qui, Antonin, ta Simone.

 

Antonio Marchetti, Gineceo, Edizioni Il Filo, Roma dicembre 2008, pp. 123, € 14,00

.

 

 

Il grandevetro è un bimestrale di immagini, politica e cultura. Esce immancabilmente da trentadue anni e si regge solo sul volontariato e sugli abbonamenti.

 

Il Grandevetro – Via I Settembre, 43/b – 50054 Fucecchio (FI) – ilgrandevetro@alice.it 

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.