Un carabiniere e due giovani dell’esercito passeggiano per Corso D’Augusto a Rimini e spalmano nel loro passeggio, mentre guardano le vetrine dei saldi, l’immagine della “sicurezza”.
Altrove, fuori dalla città -immagine, siamo invece prigionieri del labirinto, ove tutto è possibile. L’imponderabile delle periferie “produttive” e dei nuovi centri che si spengono a tarda sera lasciano deserti notturni, di cupa e dura letteratura, volendola scrivere. Rimini va esperita con il navigatore satellitare le cui mappe vanno continuamente aggiornate se vuoi accedere a servizi, consumi, tempo libero. In due decenni lo spostamento nevrotico si è sovrapposto a se stesso conquistando nuove aree; l’obsoleto di ieri appena post nuovo coesiste con il non finito di oggi proiettato nel futuro, tutto risolto nell’ondivago tragitto automobilistico, in un cantiere a cielo aperto di una città che non comprendiamo più, una città in cui ci sentiamo stranieri. La durezza di questa città la sentiamo noi, mentre chi viene qui per lavoro la conosce meglio, si muove meglio – per necessità e per abitudine alla durezza – in questa città così ambiguamente accogliente (a parte l’accoglienza turistica “vocazionale”). Può sembrare cinica e paradossale questa considerazione che vede negli immigrati stranieri una città più a loro misura che non alla “nostra”.
Sono loro che usano i mezzi pubblici, loro si prestano alla mobilità urbana ed extra urbana con paziente accettazione e puntuale utenza. Loro, infine, tracciano nuove mappe di geografia urbana. Ma quando diciamo “nostra” cosa intendiamo? Intendiamo, siamo sinceri, un senso di perdita. Tutte le nostre pulsioni appropiative sono perdenti. La voce grossa neo razzista o leghista è voce irrilevante rispetto al moto epocale. Le voci razziste, insieme al perbenismo ipocrita, servono a far dimenticare che le difficoltà , ormai, saranno per tutti noi. Il problema della sicurezza in Italia sta diventando un problema di paranoia, di distonia mentale, di servilismo mediatico, di ipocrisia nazionale.
Rimini è il paradigma della trappola. Qui si è trovata una formula nuova: si pubblicizza un “bon vivre” che verrà prima o poi sanzionato. Si fa cassa. Qui puoi fare tutto, basta pagare e avere buoni avvocati. Rimini è la città degli avvocati. Chi ci vive è preso nella morsa. La nostra vita “normale” ne è stravolta, siamo irrigimentati, e cominceremo a vivere da clandestini a casa nostra.
Siamo tutti clandestini. Rimini vende tutto, contro di noi che ci viviamo, vende l’oggettistica vintage di Mussolini in tutti i negozietti di Marina Centro, per i turisti, ma contro di noi; come se commercio e fatturato fossero valori così alti da rendere i residenti inutili e desueti.