Archive for the ‘Rimini’ Category

lunedì, Gennaio 15th, 2007

simo1

giovedì, Gennaio 11th, 2007

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Fellinia 3

lunedì, Gennaio 8th, 2007

Il buon Martin Scorsese vede cose, nuovo Savinio, che noi non vediamo, una Rimini che gli Americani ci devono ancora spiegare. Noi invece, abitanti di Fellinia, siamo perplessi e vediamo intorno a noi, in un incubo che ci assale anche la notte, la città di Blade Runner.
Nel suo splendido Voyage to Italy Scorsese ha dedicato al cinema italiano un omaggio toccante, ma è cinema, cinema italiano, ogni sovrapposizione con la realtà di oggi è ridicola.
Lasciamo agli americani gli stereotipi utili a rimpinguare il nostro erario, sperando almeno che venga redistribuito – basta andare in un agriturismo nel Chianti per capire cos’è l’Italia vista da Sharon Stone e dai suoi connazionali, ma bisogna pur ammettere che quel Chianti lo hanno pur salvaguardato – facciamo pur finta di crederci per essere credibili, ma qui tra noi ci sono degli idioti, lontani da Dostoevskij, che ci credono veramente; Fellinia insomma vuole diventare cinema, una grande opera Pop, ma quando Fellinia si chiamava Rimini non nasceva sul deserto come Las Vegas, c’era parecchia Storia, una Storia puntellata anche di audacia e sperimentazione in “quel” contemporaneo, penso all’Alberti.
Si potevano comprendere i parenti del Nostro Grande Regista, che dovevano riscattarsi da duri anni di anonimato represso, mossi da una più che giustificata rivalsa socio-antropologica che salta dall’invisibilità provinciale all’internazionale lasciando poveri cristi piegati sul duro lavoro intellettuale a bocca asciutta. Ma non tutta una città! Dai bar appena scendi dal treno ai ristoranti, ai consorzi enologici, alle piazze, alle rotonde; aveva ragione Zavoli, è un Fellini in tutte le salse, non se ne può più. Cerchiamo allora di essere radicali, come al tempo delle Avanguardie, chiamiamola Fellinia definitivamente e tutto quello che c’è dentro saranno manifestazioni animistico-consumistiche dell’incolpevole Maestro.
Dietro il paravento Fellini, questo Padre Pio della città (visto che la città “recita” la laicità centrosinistra e un santo viene sostituito da un regista), si saccheggia e si ruba mare e paesaggio vomitando cemento in una totale autoassoluzione “culturale” e imbecille.
Lo so, un giorno le statue di Fellini piangeranno sangue, come le Madonne dei giardinetti mescolate ai Sette Nani, e noi tutti ci chiederemo perché.
Ma il furto è anche un altro, nello “specifico”.
Quando anni fa nell’anfiteatro romano – no, vi prego, lasciamo per ora perdere com’è stata acconciata quella rovina – venne presentata la pellicola restaurata del Maestro, Il Bidone, tutti parlarono di tutto, aneddotini di nuovi acculturati e neo-laureati, persino storielle di cattivo gusto sull’alcolismo del notevole Broderick Crawford e infine su un grande sceneggiatore, uno davvero grande ve lo assicuro, la Rimozione Biblica fu sconcertante: Ennio Flaiano.
Non assolviamo neppure Scorsese che nel suo omaggio al cinema italiano dichiara che I vitelloni lo ispirarono per Goodfellas, in Italia conosciuto con il titolo di Quei bravi ragazzi.
L’italo-americano non cita, o non sa, che Ennio Flaiano, abruzzese, costituisce la vera ossatura del film.
“Vitellone” è parola abruzzese, deriva da “vudellone”, grosso budello, in famiglia è indicato come un figlio ormai adulto che mangia a ufo, animale all’ingrasso. E poi, in tutti i film del Maestro, l’amico Flaiano graffia inconfondibilmente: il collegio in 8 1/2, il mare finale della Dolce vita, persino il paparazzo, reporter spericolato romano dei “dolci” e “favolosi” anni Sessanta, deriva da “paparazze”, le vongole nel dialetto abruzzese, altra invenzione flaianea. Da noi l’eco è “poveracce”, è lo stesso mare Adriatico in fondo.
Ma si potrebbe continuare, qui non c’è spazio, e ci faremmo solo del male senza alcun lenimento.
Allora il furto non è solo del territorio martellato dal Kronos dello sviluppo ma anche nel Logo, nella sua finta e menzognera filologia, nel suo fissante culturale spruzzato da stagionati coiffeur, furto delle nostre intimità intellettuali e di conoscenza, facendo pure del male ai morti, ricancellandoli di nuovo, pur innalzando loro Monumenti per poi affossarli, solo per costruire un marchio DOC globale, semplificato, localistico e separatista, protoleghista, pur professandoci aperti all’altro ed alla sua accoglienza ma indossando il tasmanian elegante della doppia morale della “secessione” ideologica intramuros e quella dell’eterno portafoglio, dualismo che ormai non incanta più nessuno, statene certi.
Si preferisce dunque l’Uno, facile da vendere, e non l’insieme complesso che compone quell’Uno, si scarta la voce non funzionale e si persegue la nuova religione idolatrica laica che schiaccia vivi e morti.
Noi, vivi, possiamo almeno reagire.
Ma, poeticamente, persino praticamente, siamo costretti a farci carico pure della voce strozzata dei morti.

Fellinia 2

lunedì, Gennaio 8th, 2007

Qualche tempo fa Sergio Zavoli, in un dibattito pubblico nella corte degli Agostiniani, si lamentava del fatto che non si capisce mai, quando si arriva a Rimini, da dove si entra, quale sia l’accesso visto che ce ne sono molti. Da dove si entra a Rimini?
L’Arco di Augusto, che de-finisce la via Emilia, ritaglia un lembo di cielo e non può considerarsi un’entrata mentre quella piccola porta di Cinecittà, in Via Garibaldi, è stata messa lì più che altro per occludere ed è opera di qualche disadattato; tutte le segnaletiche sulla Statale indicano molti ingressi per Rimini ma quale sarà per il viaggiatore quello buono? La notazione di Zavoli è estremamente interessante e pone la domanda:
Una città senza ingresso che città è?
Decidendo con Zavoli un qualche accesso automobilistico – noi consigliamo sempre il treno seppur pericoloso a volte – pur di entrare smaniosi a Fellinia, saremo sottoposti ad una ginnastica rotatoria fatta da tante rotonde spesso artisticamente decorate da altri disadattati che esteticamente ce la devono far pagare per problemi tutti loro. L’”estetica” è considerata marginale forma di risarcimento e non progettualità fondante. Sulla psicopatologia delle rotonde è già stato ampiamente scritto su questo quotidiano con notevole competenza. Eppure le rotatorie le ereditiamo dalla migliore cultura nordeuropea. Esse infatti, superando le sequenze temporali dei semafori che producono più incidenti presso popolazioni con caratteristiche genetiche anarcoidi come quelle italiche, responsabilizzano l’automobilista autoregolamentandolo. Insomma stai più attento, le statistiche lo dimostrano. Negli uffici urbanistici c’è stata la rivoluzione, via squadre e righelli, sono arrivate confezioni di compassi e curvilinei e tutti si sono lanciati nelle curve di Bézier. Cartesio è notoriamente morto.
Come mai allora ciò che funziona nelle città nordeuropee non funziona a Fellinia? Forse perché siamo rimasti affascinati dalla forma senza il contenuto.
Estendendo l’enunciato di Zavoli il problema è: una volta entrati in città dove andiamo oltre a girare a vuoto in una Mirabilandia che fa pendant all’Italia in miniatura? Il fatto è che lo stimato Zavoli ha nostalgia di un centro, concetto civico etico ed ideale prima che urbanistico e come tutti noi, in fondo, è ancora poeticamente aggrappato al perduto. L’idea di un cuore della città non ci è più dato. Altri organi vitali vanno capillarmente a distribuirsi nello s/paesaggio e questo cuore storico presto lo vedremo conservato in una bacheca museale come un vecchio reperto anatomico o ridotto ad una scenografia virtuale, sfondo per presepi natalizi nel rucupero patetico dello Strapaese incapaci come siamo di gestire il blob contemporaneo che circonda il nostro spazio vitale.
Eppure dobbiamo dirlo: la visione di Zavoli, come la nostra, è una visione diurna, quasi solare nella semplicità delle proposizioni.
Ma Fellinia apre altre mappe, notturne, che molti riconoscono, vi navigano con scioltezza sapendo dove e come arrivare. C’è sicuramente una Fellinia clandestina e sconosciuta, culturalmente ed esistenzialmente, che vive nelle pieghe che non si vogliono vedere abbagliati dal sole diurno. Naturalmente usiamo la notte in forma metaforica, è la notte che si contrappone al conformismo mentale del giorno, melanconicamente orfano di un’idea di centro che oggi non esiste più.
Il problema della notte, di una città parallela, sia nella sua forma simbolica quale contrapposizione alla “normalità” che si avvita nel conformismo di un mondo che vuole nevroticamente conservare e non rivitalizzare ciò che non è più, sia in quella immanente della nuda vita, è troppo importante per affidarlo ad albergatori, bagnini, gestori di pubs e discoteche. Sbagliano i politici-amministratori ad ascoltare solo loro.
La notte andrebbe ridisegnata. Soprattutto dal punto di vista delle nuove mappe geografiche-antropologiche e dell’acustic-design.
Lo so, nella città ci sono tante persone intelligenti e invisibili, esseri notturni che formano una città parallela inascoltata. E questo per me è ancora rassicurante.

Fellinia 1

lunedì, Gennaio 8th, 2007

Quella piccola Porta di pietra che chiude, o apre secondo le autentiche vocazioni di una Porta, Via Garibaldi, rappresenta la vera sinéddoche della città di Rimini, è la parte che sta al tutto. Amputata delle sue articolazioni anatomiche-urbane, pelata e ripulita da sembrare soffice e mangereccia come un dolce di Natale o più semplicemente “cinematografica”, pronta per essere smontata sasso per sasso con la forza agile di uno Steve Reeves in un Maciste o Ercole anni Sessanta trasformandoli in proiettili contro i cattivi, questa Porta si rivela come un’autentico ready-made; è quel famoso gesto provocatorio del maestro dadaista Marcel Duchamp, ormai lo sanno persino gli studenti dell’Accademia di Belle Arti, che consisteva nell’esporre nello spazio sacrale riservato all’arte oggetti d’uso quotidiano, utensili e varie banalità. Vista sotto quest’ottica l’operazione in sé non sarebbe molto malvagia ma purtroppo questo montaggio Lego restituito alla città esibisce il fatidico vessillo del “com’era dov’era”, insieme a tutta la filosofia che contiene: simultaneità di spazio e di tempo annullando la durata che modifica inevitabilmente tempi e luoghi. Se fosse un oggetto spaesato, racchiuso in una scatola di cristallo, sapientemente illuminato nella notte accentuandone l’aspetto fantasmatico, se avesse le caratteristiche distratte dell’objet trouvè, del reperto, del frammento che sta ad un’unità perduta, se l’operazione fosse stata quella di radicalizzare il teatro, la scena, di accentuare scenograficamente l’impossibilità di ricomporre l’infranto, di spingere la finzione sin dentro il suo linguaggio con sobrietà estetica quasi minimalista avremmo potuto dire: ecco una scelta coraggiosa. E invece al finto c’è chi ci crede veramente, o ipocritamente, e purtroppo questo sarà, è scritto, il destino di Rimini: l’Italia in miniatura e i set felliniani quali riferimenti di fondazione. Poi l’orrore urbanistico dell’altrove che circonda il nucleo storico sarà psicanaliticamente risarcito dal ritornello del com’era dov’era, sponsorizzato magari da qualche illuminato e “acculturato” immobiliarista.
Nel romanzo di Sebastiano Vassalli 3012, scritto nella metà degli anni Novanta, viene descritta una città, la favolosa Fellinia, la più grande illusione dell’Evo antico. Rimini è tutta lì, e la si sta costruendo proprio così. Anzi è già così.
Mi sono spedito una cartolina un mese fa da Milano e dopo l’indirizzo ho scritto 47900 Fellinia. Provate anche voi.

Lettera al Sindaco

lunedì, Gennaio 8th, 2007

Gentile Sindaco,
chi le scrive è, non dall’ultima ora, ulivista convinto, di sinistra da sempre e, come me tanti altri, questa volta non ho votato pur avendolo fatto, sostenendola, nelle sue precedenti prove elettorali.
Tuttavia mi fa piacere che sia lei al governo della città.
Mi fa piacere per gli altri, per me rimane quasi l’ipotesi di dimettermi da cittadino non essendomi appassionato in quasi nulla e verificando la mia irrilevanza di residente.
Non sono albergatore, nè ristoratore, non posseggo pubs o locali e non sono commerciante, non sono operatore turistico, non affitto camere a studenti poichè non ne posseggo, non sfrutto gli extracomunitari, non appartengo al numero mostruoso di avvocati, non sono responsabile di inquinamento acustico e ambientale, non sono “inciucista”, non sono falso moralista, non sono cattolico, non sono carrierista politico, non sono preside di una scuola, non sono artista di rotonde; sono un semplice abitante residente di Fellinia.
Quindi quasi un nulla.
Perchè e per cosa avrei dovuto votare?
Lei è persona troppo accorta per non riflettere sul quasi un terzo di astensioni, al di là di teorie balneari (qui il mare c’è già!).
Il rischio di Fellinia è quello di diventare una città di non residenti.
Una città effimera.
Forse è la sua vocazione.
(facciamo votare i turisti all’estero)

i miei migliori auguri di buon lavoro
suo
dimissionario

A. M.

Risposta:

Gentile Sig. M.,

la Sua lettera merita attenzione e un’adeguata risposta, anche come espressione di una volontà di dialogo. Esiste già a Rimini uno scambio tra Amministrazione Comunale e cittadinanza: dovrà essere mantenuto, intensificato e migliorato anche in futuro.
Le Sue riflessioni sollecitano considerazioni non ordinarie sull’agire politico. La città (e dunque anche Rimini) è composta di realtà molteplici e differenziate: problemi aperti, nuove e vecchie istanze o emergenze, trasformazioni continue, interessi variegati. Compito dell’Amministrazione Comunale è di ascoltare e analizzare tutte queste realtà, tentando di definire una prospettiva d’azione la più condivisa possibile, per il bene complessivo della collettività.
Già il vecchio Platone, mutando in parte il proprio pensiero, paragonò la politica all’arte della tessitura, alla capacità cioè di intrecciare positivamente più fili. In tale ottica, l’opera della Pubblica Amministrazione non è affatto facile e ha bisogno del contributo dei cittadini, per giungere ad una efficace e positiva sintesi politica.
Il cittadino infatti è figura determinante, soprattutto nella misura in cui è capace di porsi in un’ottica generale, oltre i particolarismi. Il Suo dichiararsi cittadino è pertanto un principio, una condizione apprezzabile e da esaltare. Un valore di fondo che traspare nitidamente dalla Sua lettera.
La maggioranza di centrosinistra che ha vinto le recenti elezioni a Rimini ha nel proprio programma di governo 2006-2011, come uno dei pilastri principali proprio la partecipazione, da attivare e praticare in molteplici e complementari forme: più istituzionali (Quartieri, Forum, Consulte) e più
informali (incontri pubblici a tema, ascolto Associazioni e cittadini, Sportelli Assessorati).
L’auspicio è che all’interno di tali occasioni vi possano essere la Sua presenza e il Suo contributo, valori importanti per la comunità riminese nella sua interezza.
Per parte nostra continueremo comunque ad essere disponibili ad un dialogo anche critico, in uno spirito comunque costruttivo. Per Rimini, non Fellinia né Fellonia.

Alberto Ravaioli