Archive for Dicembre, 2007

Aspettando la neve.

giovedì, Dicembre 27th, 2007

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Dieci anni fa moriva Alfonso Di Nola, antropologo, autore del famoso La nera signora – Antropologia della morte e del lutto, studioso delle tradizioni popolari, e delle superstizioni, italiane.
Se qualcuno è a conoscenza di qualche iniziativa per il decennale della morte me lo faccia sapere. Per quel poco che so non mi pare ci siano stati ricordi particolari. Studioso “trasversale”, originale, “impegnativo”, per questo dimenticato.
Stessa sorte è toccata a Roland Barthes, morto ventisette anni fa, l’autore più citato e di “moda” anni or sono ed ora completamente rimosso.
Peccato che le nuove generazioni non lo leggano, si perdono molto.
Da quando vanno scomparendo le bibliografie per sostenere esami universitari Roland Barthes è presente qua e là solo in resistenti e rari fortilizi tirati su da inattuali ed eroici docenti. Per Jean Baudrillard (Lo scambio simbolico e la morte) toccherà la stessa sorte. Michel Foucault resiste; in qualche modo Giorgio Agamben ne ha raccolto il testimonio (e Gilles Deleuze? Ernesto De Martino? E chi è Vittorio Bodini?). L’oblio è forse pronto per Carmelo Bene ma faremo di tutto per scongiurarlo. Chi medierà per i giovani? Se per trent’anni si interrompe un flusso chi farà loro conoscere l’esistenza di alcuni nodi cruciali di appena qualche anno fa?
Per molti di noi sarebbe necessario non dare nulla per scontato e ricominciare ogni volta daccapo e “divulgare” (riappropriandoci positivamente di questa parola) i nostri libri alle nuove generazioni prima che sia troppo tardi (e se fosse già troppo tardi?).
Bisogna tuttavia aspettare, sono fiducioso circa il ritorno di certi autori.
Nel frattempo noi rileggiamo i libri che già abbiamo e compriamo di meno (al mese, non più a settimana), visto che c’è poca scelta. Si traduce poco e male e non si ristampano libri che abbiamo perso appena dieci anni fa (per taluni un secolo!).
Leggendo un mese fa la biografia di Leo Castelli scritta da Alan Jones mi sono ritrovato dopo dieci pagine con la matita in mano a sottolineare gli errori; l’unico divertimento alla fine era questo, visto il contenuto assai banale del libro.
L’ultimo libro che abbiamo comprato? È un segreto.
Per concludere è necessario un chiarimento. Il libro non sostituisce la vita e l’esperienza diretta. Il libro è presente prima durante e dopo la vera vita, ci accompagna. Ma se in talune circostanze estreme la vita non è degna di essere vissuta ci sono libri che saranno sempre degni di essere letti. E scritti.

Fine di un anno

domenica, Dicembre 23rd, 2007

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Siamo seduti su di una sedia girevole con le spalle rivolte al futuro e gli occhi al passato.
Guardiamo con occhi increduli, impastati di invidia, agli uomini e alle donne che cinquant’anni fa si gettavano nella vita con le tasche quasi vuote ma con grande spirito di avventura. Si veleggiava.
Non riusciamo più a comprendere come le generazioni precedenti potessero fare, pur essendo italiani come noi ora – per giunta noi siamo anche europei! – cose fondative e leggere insieme. Quel “secolo breve” si allungherà come un brodo e ci infliggerà dure lezioni, nel bene come nell’orrore.
Tutto quello che sappiamo fare è di mitizzare il recente passato, ridurlo ad icona pop, incapaci come siamo di elaborare qualcosa di nuovo, mentre qualcuno di noi quei padri li aveva anche uccisi per superarli, ed eccoci qua tra le serigrafie di Warhol del nostro mezzo Novecento distribuite in un unico ed indifferenziato piano orizzontale.
Sento che la mia generazione di mezzo ormai è quella “tolta di mezzo”.
Quando qualcuno oggi si affaccia con qualche neurone in più viene affossato dalla competizione mimetica e dall’invidia.
Si veleggia costa-costa con lo sguardo alla riva protettiva non perdendo di vista la propria casa.
Qui decidono tutti, nessuno decide; siamo tutti diversi, siamo tutti uguali; tutti parlano, il deserto cresce; l’ignoranza (ignioranza) assume caratteri di specifica competenza.
In una classe di Istituto Superiore il 5% è talento da coltivare ma ci distoglie dalla salvezza ecumenica falsamente democratica.

Al Pacino

mercoledì, Dicembre 19th, 2007

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Davanti la piccola stazione c’era il nostro piccolo Al, con le due valigie appoggiate ai rispettivi piedi, un cappellaccio di cotone in testa, occhiali superoscuranti di tartaruga, pantaloni larghi di lino che sembravano accorciati da un cattivo lavaggio, sandali di cuoio quasi francescani ed una camicia anch’essa notevolmente larga con le maniche rimboccate sulle braccia sorprendentemente muscolose.
Al Pacino non ti saluta, sorride e basta; un sorriso largo che ti dice: sono qua, sono arrivato, il viaggio è andato com’è andato.
Vedendolo solo lui intuitivamente risponde, indicando dietro di sé, con il pollice della mano come il gesto dell’autostop, assicurando che Dalia era dietro di sé, al bar.
Lei appare trafelata e ipertonica, con una grande sacca informale sulla spalla ed una sporta di plastica piena di bottigliette di acqua minerale e di chinotto.
Erano irriconoscibili. Ma, mi chiedevo, irriconoscibili da cosa? Da se stessi?
Questi divi americani sanno essere insieme niente e tutto, a seconda dei contesti. Si allungano e si accorciano, come fossero fatti di chewingum, tra un film e l’altro.
Grassi e gonfi di pastasciutta come De Niro in Toro scatenato e poi mostruosamente muscolosi in Cape Fear; con la pancetta piccolo borghese di un insignificante Kevin Spacey di American Beauty e, dopo qualche giorno di palestra, già prestante e seducente; sei una timida e anonima Michelle Pfeifer in Batman il ritorno e poi sei trasformata in una elastica Catwoman con un culetto stupendo.
Se li incontri al supermarket o per strada non li riconosceresti mai. Solo i fanatici e i maniaci possiedono il superfiuto, la supervista ed il superudito per smascherarli.
Nell’Italia degli sceneggiati televisivi di Cronin, ad Alberto Lupo, che il secolo scorso interpretava il Dottor Manson, la gente chiedeva consigli medici, visite e ricette.
Per molti non era concepibile che il buon Alberto Lupo non fosse medico.
Già allora si preparava qualcosa di inquietante.
Per logica conseguenza, quando un fanatico che ti adora ti riconosce per strada, tu hai un po’ paura, ci potrebbe scappare un sequestro di persona, come in Misery di Stephen King o in Re per una notte di Scorsese o magari potrebbe volare qualche pallottola.
John Lennon docet.
Dalia ed Al erano volutamente invisibili o erano davvero così?
Domande insignificanti di fronte all’implacabile pragmatismo americano: aprire il bagagliaio, infilarci le morbide valigie di Al e il saccone di Dalia, entrare in macchina, sistemare le bevande, allacciare le cinture e partire.
«Ho detto ad Al» mi disse Dalia appena messo in moto «Che tu fumi; puoi fumare qualche sigaretta anche in macchina ma dovrai tenere il finestrino aperto, tanto lui sonnecchia, ha imparato a dormire a tempo, nelle pause del set, lo ha imparato da un giapponese che gli ho fatto conoscere. In realtà non dorme perché in qualche modo vede e ascolta, ma è come se dormisse, è lo stesso effetto corroborante del sonno vero ma senza la sua profondità; dorme nella superficie.»

Nelle pause di questo sonno superficiale Al sorseggiava il suo chinotto mentre attraversavamo gli altopiani tosco-romagnoli.
«Anche a me piace il chinotto» dissi tanto per parlare «Lo beveva mia nonna e all’epoca, da ragazzo, non mi piaceva. Ora ho cominciato a berlo dando ragione a quella gran donna della nonna. Il chinotto per alcuni anni sembrava sparito ma poi è riapparso quello della San Pellegrino».
«Per Al» rispose Dalia «È la stessa cosa. Lui ha sempre bevuto acqua San Pellegrino, credo perché gli piacesse il nome evocandogli una sana povertà, poi scoprì il chinotto a cui ci si attacca come al latte materno. E’ stato entusiasta della tua idea di portarci al sasso di S. Francesco.»
E con il nome del sant’uomo in bocca Dalia crollò di sonno, sconfitta dai fusi orari. Sonno profondo e non di superficie.
Dietro di noi una Mercedes nera ci seguiva ormai da un pezzo, con dentro due specie di bluesbrothers che all’arrivo divennero invisibili. Dalia mi garantì che c’erano sempre, soprattutto quando non si vedevano, era il loro mestiere e venivano pagati un’enormità.

Siamo a dicembre, Italia

venerdì, Dicembre 14th, 2007

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Dunque la scrittura sta diventando un rifugio, una chance, una via per il successo.
Amanda Knox scrive un diario (La mia prigione), avrà pensato a Pellico? Non si scrive mai un diario per sé, per quanto segreto circola sempre un terzo a cui chiediamo di essere, un giorno o l’altro, testimone, lettore. Un diario presuppone sempre un lettore. Ma tutto questo scrivere per farsi largo negli scaffali e nelle vetrine ha un piccolo inconveniente. La letteratura ci muore.

La fede. Il ministro degli esteri Massimo D’Alema ha dichiarato di sentirsi affascinato dalla fede. Questo non vuol dire nulla. Si è affascinati dalla fede altrui? Sarebbe assurdo infatti essere affascinati dalla fede propria.
La fede o la si ha o non la si ha, il fascino è fuori luogo.
Ma di cosa è affascinato Massimo D’Alema? Di nulla.
Lui prova qua e là per garantirsi una carriera luminosa che non basta mai a se stesso. Lui è affascinato da se stesso.

La Senatrice Binetti, definita Teodem, pare utilizzi qualche volta (quando?) il cilicio. Non conosciamo il modello usato tuttavia lei dichiara di mortificare la carne.
Dolce e Gabbana sono sempre pronti nel recupero di antiche tradizioni con la regia di Tornatore.
La Signora Binetti assomiglia a Spencer Tracy, non ha nulla di femminile, non fa nulla per esserlo, si mortifica già da sola. Nessuno vuol fare peccato con lei, ma l’idea del nostro target forse è limitato. Non ha nulla di femminile. Non gliene vogliamo per questo (o forse sì…). Non le basta? Vuole anche il cilicio? Ma allora qui si gode, qui c’è piacere Marchese mio!. Vada sul canale Jimmy (SKY). Potremmo vederla scegliendo anche di non vederla. La Binetti potrebbe tentare un duo con la Pivetti che la sa più lunga, ha cominciato prima.

Il presepe, lu presepe, il presepio. Che ci mettiamo quest’anno? Nisciuno, nun ce mettimme nisciuno facimme nu presepeemmierde cha na grutticcelle sinzanisciune, tutta vote sinzanniente e nunciscassieteucazze. Le pecurelle? Fangule a te e le pecurelle. Li pasture? Ma vattinne custucazzedepasturemmierde Qua ammichiuse, vabbò? Chiuso. Te stabbene? Mittete o presepe intraoucule! Dapù te lo sfili piennemmierde e te lo mitti intravocche e te lo pulisci bene bene! Fattenculà da ò presepe e dopo canta la canzuncielle de Natale strunzò, co tutta la bocca merduosa e puzzolente cataritruovi ommemierde presepioso. Gesù sempre puro rimane nun te scurdà.

Onora il padre

lunedì, Dicembre 10th, 2007

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Qualcosa in comune dovrebbero pur avere questi due libri se li abbiamo acquistati insieme.
Quello di Philip Roth lo aspettavamo, quello di Tommy Berger ci ha preso di contropiede.
Ad accomunarli non sarà certo la letteratura; troppo squilibrato il paragone e anche poco leale. Essi condividono lo sfondo ebraico, la sua cultura, che per quanto quasi annientata e frammentata regola ancora, con le sue secolari tradizioni prescrizioni e paradossi, la vita attiva e che nelle pagine di Roth sfiora il surrealismo tragicomico, come il grande scrittore ci ha abituato. La somiglianza sta nella presenza centrale della figura del padre (Padre) che nei due libri appare rovesciata.
Philip Roth narra la malattia e l’inevitabile declino di suo padre, Herman Roth, seguendo una partitura spazio-temporale ove le memorie e l’’immanenza della morte e della perdita vanno ad orchestrare una dimensione filiale (Philip ha superato i cinquant’anni mentre accudisce il padre ultraottantenne afflitto da un tumore al cervello).
Tommy Berger narra le sue disavventure finanziarie e la perdita delle sue fortune (conquistate in una vita di lavoro che va dal caffé Hag all’acqua Fiuggi sino alla Levissima) a causa di un figlio avido che cova rancore e odio.
“Mio figlio ha fatto un sacco di soldi. I miei.” Questa la sintesi feroce di Berger.
Forse se Roth figlio è quello che è lo deve in gran parte alla letteratura, all’esercizio della scrittura, e della lettura.
La letteratura ci salva?
Berger invece non aveva molto tempo per praticarla, troppo impegnato ad accumulare dollari, e del tradimento del figlio non sa farsene una ragione e l’unico modo per farsela, alla fine, è quella di scriverci un libro per raccontare al mondo l’assasinio di un padre.
Se la vita, la vera vita, del possibile e dei possibili, sta nella letteratura nulla potrà più sconvolgerci o scandalizzarci.
Quali figli ci sono toccati in sorte? Quali padri ci sono toccati in sorte?
Sono domande bibliche ancora attuali e determinismo ambientale relazioni cause-effetto genetica ereditarietà sociologismi recentissimi psicologismi psicoanalisi antropologie assistenti sociali insegnanti di sostegno preti avvocati giudici di tribunale non possono competere con la sottile vivisezione della letteratura.
Per il resto, ciascuno è di fronte alla propria coscienza, più o meno falsa, più o meno vera.

Jannis Kounellis

giovedì, Dicembre 6th, 2007

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In “Tutti artisti”, del 2 dicembre di questo mese, notavamo come ormai politici e burocrati tolgono la scena all’arte e agli artisti. Ho ritrovato una intervista di qualche anno fa a Jannis Kounellis, un artista verso il quale ho sempre nutrito autentica ammirazione, non solo per la forza del suo lavoro ma anche per la sua “postura” nel sistema:
“Oggi si rischia che politica, burocrazia e amministrazioni, in preda a furori produttivi, s’impadroniscano di questo nostro terreno che deve essere fatto di idealità e poesia…”
“Come troveranno i Van Gogh di oggi senza neppure il tempo di cercare ai margini del conosciuto?…”
“Non si rendono conto che l’arte ormai va scovata dentro vite nascoste, d’opposizione, lontane dai riflettori? Non a caso stiamo assistendo all’appropriazione indebita dei territori artistici da parte delle amministrazioni, del management, della burocrazia… È come se – attraverso tutti questi personaggini che campicchiano parassitariamente intorno alla ricerca artistica – la stessa burocrazia si fosse messa a dipingere. Ci vuole un soprassalto di dignità, di rigore.”
Queste parole di Kounellis avevano sullo sfondo la Biennale della Moda a Firenze di undici anni fa, curata da Germano Celant al quale veniva contestata l’attribuzione della patente di artisti, tanto agognata dagli stilisti.
Dopo una decina d’anni, caro Kounellis, il rischio che paventavi e le tue paure sono superate, siamo ormai a mare aperto circa il furto e l’ormai irreversibile confusione di ruoli.
Sul “Governatore” della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, pittore, rimando ad una lettera di Gabriele Di Pietro indirizzata al Direttore di Flash Art; su Veltroni sindaco della capitale abbiamo detto tanto e ci siamo stancati, sul “Governatore” Bassolino della regione Campania sarà difficile focalizzarlo perché è sempre in giro a contattare artisti o a chiedere prestiti a musei per arredare il suo salotto.
Ex socialisti comunisti operaisti tutti altrovisti artisti e collezionisti in tempi brevisti, presentisti competentisti e molto salottisti! Che siam forse noi qualunquisti?

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ANCHE IN ABRUZZO ABBIAMO UNO SGARBI E SI CHIAMA DEL TURCO
Caro direttore,
 seguo con attenzione quello che sta succedento a Milano, sull’arte contemporanea. Purtroppo la stessa CROCE la portiamo noi in Abruzzo, soltanto che lo Sgarbi di turno è donna, con la complicità delle istituzioni regionali. Che spendono e spandono denaro pubblico per queste mostre putrefatte già confezionate che girano in Italia come il circo Orfei (con tutto il mio grande rispetto per la gloriosa Famiglia Orfei) offendendo la cultura e la comunità Abruzzese.
Ci aspettiamo ora che la prossima mostra ci porti la salma di Salvador Dali’, con la presentazione nel catalogo del critico e tuttologo sull’arte contemporanea, il presidente della regione Abruzzo Ottaviano DEL TURCO!
Un cordiale saluto Gabriele Di Pietro dipiga@alice.it
Giulianova, Teramo

Tutti artisti

lunedì, Dicembre 3rd, 2007

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L’ineffabile Sindaco di Milano, la signora Letizia Moratti, indagata per concussione e forse altro si è dichiarata serena.
È abitudine, tra i politici e tra alti responsabili istituzionali, dichiararsi tranquilli, sereni, con la coscienza a posto quando la giustizia soffia sul loro collo. Dagli anni novanta del secolo scorso evidentemente si sono sviluppate difese autoimmunitarie incredibili. Calmanti e tranquillanti sono obsoleti, c’è altro. Stanno tutti bene.
Se vuoi essere sereno e trendy devi avere qualche pendenza con la giustizia.
Se poi ti fai un pochino di galera aggiungi al tuo pedigree mancante un soffio di avventura e di maleddettismo tutto da spendere. Avere una fedina penale immacolata, dichiararsi incensurati è, nelle latitudini italiane, da perdenti. Se poi paghi anche le tasse oltre ad essere perdente sei anche un po’ fallito e vieni visto male, con sospetto.
Il maledettismo non esiste più se non nelle forme secessioniste ereditate da piccoli uomini (e donne!) post-villan -rifatti.
Il revanchismo sociale di tali esseri è dimostrato dall’interesse improvviso per arte e cultura, persino nel senso divorante di sostituirsi ad artisti ed intellettuali.
Il politico espande un ego smisurato utilizzando il potere e la conseguente presenza mediatica per essere pittore, scrittore, filosofo, regista, attore e tutta la creatività immaginabile. Se era un cantante fallito e frustrato ci torturerà con una sua canzone. Se era pittore fallito e rifiutato a scuola come Adolf Hitler ce la farà pagare in qualche modo, statene certi. Il politico-amministratore italiano cova patologie insospettate.
Vuole essere lui artista: anticonformista, provocatore, criminale, trasgressivo, perverso, lirico, sensibile, drogato, narcisista, protagonista, traditore, porco, poeta, ladro.
Vuole utilizzare tutte le scorciatoie senza saper fare un c….
O l’arte va trovata altrove o la politica è la vera arte, oggi, qui, in Italia.
Torneremo su questi argomenti, e sarà interessante fare una ricognizione tra presidenti di regione e sindaci che fanno altro (sono tutti in minuscolo evidentemente), fanno ARTE, rubando qualcosa di irrisarcibile che non riguarda più la magistratura: vogliono togliere la scena agli artisti e agli scrittori, ne sono invidiosi, è la loro ultima spiaggia. Fanno del male a tutti noi che eravamo nati, autenticamente, in altro modo da loro.