Archive for the ‘Nuda vita’ Category

Aspettativa di morte

lunedì, Aprile 30th, 2012

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La biopolitica occulta malamente le sue finalità. Non conta il discorso: prevenzione, educazione alla salute, modelli di vita. Conta la scelta e la decisione biopolitica che contraddice il discorso sulla tutela della vita e che in realtà corteggia la morte. Le simbologie facili dell’eutanasia, del testamento biologico, del suicidio assistito, dell’aborto, vengono sventolate dalla biopolitica per occultare il disprezzo per la vita umana, della persona “vivente”. Così, l'”aspettativa di vita” giustifica una riforma pensionistica, aumentando spaventosamente l’attività lavorativa-contributiva rispetto a quel segmento di vita residua (che sarà sempre più residua) ove non si lavora più, si fa altro. “Aspettativa di vita” è un dato statistico che vale per tutti, indipendentemente dalla propria storia personale di lavoro, di vita attiva, di consumo e sperpero di energie. Le persone, non contano. Purtroppo nel Paese dei Balocchi l’attività lavorativa-contributiva, per moltissimi, è, ed è stata, minima rispetto alla pensione che oggi riscuotono. Nel Paese “sbagliato” questo va tenuto presente.

Così, è una generazione a farsi carico di questo, mentre quella futura dovrà ancora fare i conti e, in alcuni casi, uscire dal sonno. “Aspettativa di vita”, nel momento in cui si raggiunge una soglia anagrafica ove occuparsi di sé, del proprio corpo, e sottoporsi a visite mediche specialistiche di controllo è doveroso. C’è un’ età ove avvertiamo di essere più fragili, esposti ad “acciacchi” sino a ieri sconosciuti, per quanto ancora dotati di energia e volontà. Ci si può ammalare più facilmente, ed ammalarsi oggi  vuol dire pagare una penale, una decurtazione dello stipendio. Si può fare un’analisi del sangue: i markers tumorali ( anche solo uno) e ci si accorge che il ticket è piuttosto alto, e che la prevenzione la paghi tu, se vuoi vivere un pochino di più. Poi dipende in quale regione vivi e come sono distribuite le fasce di reddito, il Paese non è tutto uguale, non è unitario, e non è neppure federalista.

Spingere gli anziani più avanti nel lavoro, con le penalizzazioni, l’impoverimento progressivo del reddito, con l’aumento delle spese sanitarie ha a che fare, piuttosto, con “Aspettativa di morte”.

In questa prigione europea, di pura ragioneria, la vita è un ingombro. Morire prima è un risparmio. Non si ha il coraggio di dirlo ma l’obiettivo è questo.

Mi sentivo molto europeo negli anni Novanta, anche prima, culturalmente. Oggi, nel mercato delle vacche finanziarie, e dell’istigazione al suicidio (reale ed economico), mi sento fuori.

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antinoo@variosondamestesso.com

Sconnessione psichica

lunedì, Febbraio 6th, 2012

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antonio marchetti ex voto_9

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Era inevitabile, e quasi scontato, che il naufragio all’isola del Giglio diventasse un paradigma della crisi europea, ed in particolare dell’Italia.

I giornalisti, sempre più lontani dai fatti e con vocazioni letterarie, ci hanno restituito le parole del mare e riattualizzato le grandi epopee dei Conrad, Stevenson, Melville. È mancata, fortunatamente, la “Zattera della Medusa”, la cui metafora ci avrebbe fatto precipitare nel puro “bios” animale. Sono i modi in cui si “schiva” il mare, il mare europeo. Il Mediterraneo rappresenta oggi la grande rimozione europea. Siamo in un’Europa di terra. Bollettini di morte per raggiungere una riva fatale ci informano di ciò che accade nel nostro mare. Da anni è così. La nostra “fortuna”, la ricchezza del mare, sono come oscurati.

Per quanto ci riguarda, anche la vita comunitaria di terra mostra ormai lo “stivale” (come chiamava l’Italia il mio maestro) allo stremo, incapace di reagire ad emergenze naturali come la neve ed il gelo. L’Italia di Flaiano è ancora tutta qui. Per non parlare di quella di Corrado Alvaro. Il fatto è che da quasi due decenni l’italiano è affetto da sconnessione psichica. Si è sconvolti dalle notizie che in questi giorni passeggeri di treni siano rimasti “sequestrati” per ore, bloccati al gelo, fermi in campagne oscure e sconosciute come nel film “Il dottor Zivago”. Eppure, sino all’altro ieri, quando si viaggiava tra Rimini e Milano o verso Roma, in treni iperpubblicizzati, e si facevano notare i disagi (riscaldamenti inefficienti, aria condizionata da gelo, toilettes sporche o chiuse, ritardi notevoli sempre qualche minuto prima di un parziale rimborso, la scomparsa progressiva dei treni locali…) venivamo guardati come alieni. Non stava bene protestare, tutto andava bene. I passeggeri erano seduti come tante sculture “pop”a leggere tutti lo stesso libro di Oriana Fallaci, di Bruno Vespa o, appena meglio, di Terzani trasformato in guru. Quando i segni dello sfacelo erano chiari ed evidenti non stava bene protestare, indignarsi e denunciare la truffa di Trenitalia: il tuo vicino ti guardava come se tu fossi venuto da altro mondo. L’italiano-bambino si adegua facilmente ai facili retaggi che gli consente di “esserci”. Uomo plastico. Poi, evidentemente, ci si indigna tutti insieme, si fa un “movimento” che, naturalmente, parte dalla “rete”. Ma la posizione “individuale”, del cittadino che “sente” prima della catastrofe, che si fa sismografo e che legge i segni del presente in queste latitudini non vale nulla. La parola cittadino poi è scarsamente usata; si preferisce popolo, gente, consumatore, utente, elettore, popolo del web.

A tutto ciò si aggiunge una italianità rattrappita e pigra (vedi anche: http://www.variosondamestesso.com/2011/10/03/passeggiando-tra-rovine/) che reagisce agli eventi sconnessamente.

Mi viene in mente qualcosa nei primi anni Novanta del secolo scorso. Si tratta di una immagine. Ragazzi e ragazze di allora per un certo periodo amavano coprire la metà delle mani con le maniche del golf. Non so se era una moda ma notavo che dalle maniche dei maglioncini uscivano solo le dita e se per caso, o per qualche movimento del braccio, la mano risultava completamente nuda, subito i ragazzi si affrettavano a coprirla.

Ricordo queste ditine che apparivano anche quando faceva caldo, che sembravano dirci: sono fragile, ho freddo, sono debole, ho dei problemi, non ce la faccio… E gli adulti li accolsero commossi. Quello fu il momento fatale.

Passeggiando tra rovine

lunedì, Ottobre 3rd, 2011

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antonio marchetti passa al bosco

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Quasi un decennio fa, e forse ancor prima o subito dopo le fragili speranze dei primi anni ’90, il declino italiano era chiaro a molti. Rileggere il rapporto CENSIS del 2002, l’anno della circolazione effettiva  dell’Euro, è un esercizio di memoria utile e per certi versi agghiacciante. Le parole di Giuseppe De Rita sono impietose: “La nostra società presenta oggi una stazionarietà prolungata senza contraccolpi di reattività. (…) Fra stazionarietà non reattiva e pericoli strutturali di declino, non deve sorprendere che si insinui oggi un’ambigua deriva di curvatura concava della vita collettiva.”. Non senza una vena di lucida nostalgia. Scrive infatti De Rita: “Questo è un paese che ha dato il meglio di sé quando ha attraversato l’angoscia per darsi serietà: nel poverissimo dopoguerra, nei drammatici anni ’70, nella crisi finanziaria dell’estate autunno ’92.”. L’angoscia, l’ansia, sembrano essere i soli propulsori per la “serietà“. Alle spalle di questo 2002 quasi un altro decennio, almeno dal 1993, fitto di litanìe riformiste e di favole con effetti speciali.

Ci approssimiamo al ventennio, camminando tra rovine.

Il motore di questa devastazione è stato, sicuramente, l’autoinganno. Il risveglio: tardivo ed ipocrita. Adusi a letture che spaccavano il capello, perdigiorno di analisi dei dettagli della vita quotidiana, del linguaggio, nel rifiuto dell’estasi orgiastica del potere ci ritroviamo qui ad aver ragione, la ragione del niente, spettatori degli ultimi arrivati, gli “imprenditori”, sino a ieri plaudenti e divertiti dalle barzellette del pornodivo.

Dopo il massacro sociale ed istituzionale dovrebbero arrivare loro, a dare l’ultima sconciatura delle nostre esistenze, loro che non sono stati in grado di leggere ed interpretare ciò che quel rapporto sulla situazione sociale del Paese indicava 10 anni fa (la cosiddetta new-economy era in crisi già allora!). Loro, orfani di una borghesia defunta, incapaci di mettersi in gioco, si sono autoingannati (e hanno ingannato chi lavorava per loro) ed ora, come sottoposti ad esperimenti mesmerici di risveglio forzato, pretendono di indicare la strada dello sviluppo e della rinascita. In maggioranza ignorante, qualunquista, disponibili a scorciatoie antiistituzionali e spesso illegali, la classe imprenditoriale ha danneggiato gli imprenditori stessi, quelli più intelligenti ed onesti.

Non si accettano lezioni da chi era presidente di tutto, felice gaudente del glamour e della “r” arrotata non ereditaria.

Di critiche ne abbiamo sentite di tutti i colori: pessimista, visione ideologica, pregiudizio, odio sociale, invidioso, sfigato, marginale, disfattista, comunista, esagerato, ossessionato. Come picchiare il cane solo perchè si agita quando sente un terremoto in arrivo. Sapevamo già, lo sapevamo che sarebbe stato un disastro. Ma a cosa serve oggi? A niente. Coloro che intuivano e sapevano sono coloro oggi maggiormente colpiti. Colpiti due volte: nella loro ipersensibilità sismografica (fallimentare) e nel loro stato sociale perchè pagano la crisi al posto di altri: una intera classe sociale, la classe media, soprattutto quella intellettuale e attiva nella formazione. “Chi non sa o non ricorda ripete”, recitava il titolo di una famosa mostra dei ’70 di Vettor Pisani versus Joseph Beuys . Ecco allora che l'”angoscia” di De Rita (un sociologo cattolico e “serio” non certo un rivoluzionario!) dovrà ripetersi; il fondo oscuro dovrà di nuovo riapparire per risalire in superficie. Solo che questo, si spera, dovrà riguardare le nuove generazioni, da oggi, e non mi riferisco certo all’impettito presidente dei giovani industriali che sembra uscito da una commedia di Monicelli, vestito con la solita divisa “tranquillizzante” del completo Tasmania e cravatta, vecchio da giovane e qualunquista nelle parole, la cui unica rivoluzione in vita sua è stata quella di non invitare i “politici”: poteva scegliere, invitarne altri, di posizioni diverse. Il paraocchi tende più facilmente a considerare ostacoli quelli familiari, con cui ci si è embricati subdolamente e a non sperimentare nuove strade. Stupidità o rimozione? Tutte e due! Ma oggi vince stupidità, non scomodiamo il vecchio Freud.

Mi riferisco ai giovani in sosta-impegnata sino ai trent’anni tra triennio universitario, biennio magistrale, vari masters e stages conseguenti. Quella curvatura concava della vita collettiva fotografata dal CENSIS nel “lontano” 2002 è stata assorbita dalla famiglia. Ma non può durare. L’aspettativa di vita si allunga per le nuove generazioni, per i cinquantenni-sessantenni si approssima invece l’aspettativa di morte: risparmiare su pensioni e sanità, lavoro coatto e perdita progressiva dei diritti. La vecchia lotta di classe sarà sostituita dalla lotta di età. L’età, oggi, è la “classe”.

Noi CS siamo un po’ stanchi, e siamo già passati al bosco. Scopriamo nuove strade, piccoli sentieri, dentro il nostro modesto giardino. Lo difendiamo con le unghie per paura che ci venga devastato anche quello. Quando parliamo ai giovani e cerchiamo di rappresentare la realtà realisticamente vediamo che spesso essi preferiscono racconti autoconsolatori. Auguri.  C’è sempre, naturalmente, qualche unicum.

Amen

Aggiornamento. Il periodo che verrà

mercoledì, Settembre 14th, 2011

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antonio marchetti rimini.

Il periodo del futuro Il periodo della salsedine Il periodo cioè Il periodo della foruncolosi Il periodo delle calze a rete Il periodo del bel freddo Il periodo quand’eravamo quattro gatti Il periodo dei paninari Il periodo sfigati ma belli Il periodo del non ci vado Il periodo del riflusso Il periodo delle interminabili mestruazioni Il periodo del pudore Il periodo del walkman Il periodo degli exogini Il periodo del piatto Lenco Il periodo delle spiagge libere Il periodo dei periodici Il periodo della new ave Il periodo delle pomiciate Il periodo della morte dell’arte Il periodo delle citazioni Il periodo della forza Il periodo dei dungeons & dragons Il periodo delle gonne con le frappe Il periodo del dopoguerra Il periodo del sto bene da solo Il periodo dell’anoressia Il periodo del vino e gassosa Il periodo del tirare tardi Il periodo del 1° maggio Il periodo della fellatio Il periodo della psicoanalisi Il periodo dei pattini Il periodo del moscone Il periodo dell’ideologia Il periodo di Truffaut Il periodo delle farneticazioni Il periodo muto Il periodo del riso in bianco Il periodo delle tele ad alto spessore Il periodo dell’Einaudi Il periodo del transistor Il periodo della parrocchia Il periodo degli yuppies Il periodo delle scoregge Il periodo del non te la dà Il periodo del pompelmo Il periodo delle cartoline Il periodo delle osterie Il periodo del facciamoci del male Il periodo domani parto Il periodo di Gian Maria Volonté Il periodo dei cunnilingus Il periodo di Eduardo Il periodo dei francesi Il periodo del flipper Il periodo dello zainetto Il periodo delle sveltine Il periodo della 500L Il periodo della disco music Il periodo del Moxy Bar Il periodo di Patty Pravo Il periodo delle mostre Il periodo dell’autostop Il periodo delle femministe arrapate, Il periodo delle senza mutande Il periodo del jukebox  Il periodo della bulimia Il periodo del maschio in crisi Il periodo delle femministe pure Il periodo degli scandali al sole Il periodo degli spaghetti aglio e olio Il periodo degli Inti Illimani Il periodo di Aldo Moro Il periodo dei festivals Il periodo di Carmelo Bene Il periodo dei fascisti Il periodo dei Jefferson Airplane Il periodo dell’austerity Il periodo dei freaks Il periodo di Alighiero & Boetti Il periodo delle vergini Il periodo degli aborti Il periodo dei punks Il periodo dei concerti Il periodo dei figli Il periodo dei Police Il periodo dei cretini Il periodo faccio il creativo Il periodo dei posters Il periodo dei funerali Il periodo dell’iPod Il periodo del Muro Il periodo in tenda Il periodo della semiologia Il periodo del trendy Il periodo di lisciarsi i capelli Il periodo del farsi un culo così Il periodo dell’inchiostro di china Il periodo vedo gente faccio cose Il periodo degli stronzi Il periodo dei compagni Il periodo dei ghiaccioli Il periodo dei concettuali Il periodo di Keith Jarrett Il periodo dello yogurt fatto in casa Il periodo degli agriturismo Il periodo dei terremoti Il periodo degli aperitivi Il periodo di Pertini Il periodo di Andrea Pazienza Il periodo degli assessori Il periodo del teatro Il periodo dei comunisti Il periodo degli sponsors Il periodo dell’Altra domenica Il periodo di Sergio Leone Il periodo della fame Il periodo delle salopettes Il periodo di Brian Eno Il periodo del dolore Il periodo edipico Il periodo della bruschetta Il periodo degli acrilici Il periodo dell’infradito Il periodo di Bataille Il periodo dei festival dell’Unità Il periodo melanconico Il periodo degli zatteroni Il periodo dell’uovo alla coque Il periodo dell’eskimo Il periodo sempre solo Il periodo dei quaderni piacentini Il periodo dei sandali alla schiava Il periodo che palle Il periodo del carnevale Il periodo dell’identità Il periodo del venire dentro Il periodo delle Mini Minor Il periodo dei capelli rasati Il periodo dei pubs Il periodo della Protezione Civile Il periodo dello sballo cattivo Il periodo della spirale Il periodo di Tadao Ando Il periodo del mio nome è Bond Il periodo della grappa Il periodo di Accattone Il periodo delle scarpe a punta Il periodo dell’accoglienza Il periodo delle moto Il periodo del portfolio Il periodo del giubbino Il periodo non mi piace più niente Il periodo del curriculum Il periodo delle gonne con lo spacco Il periodo di Charlotte Rampling Il periodo delle discoteche Il periodo delle Timberland Il periodo della potenza Il periodo del mi manchi Il periodo che piangevo Il periodo delle vibrazioni Il periodo del dancing Il periodo di Maciste Il periodo del Martini dry Il periodo del cinema d’essai Il periodo della sorellanza Il periodo delle fidanzate Il periodo della camera oscura Il periodo persecutorio Il periodo della Nikon Il periodo della mansardina Il periodo degli scoppiati Il periodo dell’artigianato Il periodo delle espadrillas Il periodo di Van Der Rohe Il periodo in un certo modo Il periodo del viaggio in India Il periodo del tirare tardi Il periodo delle veline Il periodo dell’Aids Il periodo tuttavia Il periodo delle serigrafie Il periodo degli indiani metropolitani Il periodo della fellatio Il periodo dell’attacchinaggio Il periodo della filosofia Il periodo dello scanner Il periodo degli idioti Il periodo delle Estati Romane Il periodo del fumetto Il periodo della pizza Il periodo della quinta marcia Il periodo di Bologna Il periodo delle gallerie che aprono Il periodo del tu non entri Il periodo dei traditori Il periodo dei vip Il periodo delle gallerie che chiudono Il periodo dei leccaculo Il periodo stupido Il periodo guarda il mio sito Il periodo della mafia Il periodo delle associazioni culturali Il periodo intollerante Il periodo delle enoteche Il periodo dei periodici Il periodo di Riccione Il periodo delle vacche grasse Il periodo della colla Attack Il periodo di Lolita Il periodo delle bombe Il periodo di Frigidaire Il periodo dello Stadio Il periodo degli anni di piombo Il periodo di Wenders Il periodo dei festivals di Santarcangelo Il periodo dei campeggi Il periodo dell’abbordaggio Il periodo di Neil Sedaka Il periodo di Flaiano Il periodo dei cattivi maestri Il periodo dei librai Il periodo degli arrosticini Il periodo dell’orticello Il periodo della carta di credito Il periodo della luce tagliata Il periodo della cabina telefonica Il periodo cerco casa Il periodo delle scopate in macchina Il periodo dei pederasti Il periodo dei maglioni fatti a mano Il periodo Artaud Il periodo dei froci Il periodo di Hermann Hesse Il periodo delle Biennali Il periodo delle spillette sulla giacca Il periodo pericoloso Il periodo delle sciarpe lunghe Il periodo degli omosessuali Il periodo della P38 Il periodo della P2 Il periodo della pipì fuori dal vaso Il periodo della cellulite Il periodo dei floppy disk Il periodo dei gay Il periodo di Sottsass Il periodo dell’usato Il periodo delle lesbiche Il periodo dei ceramisti Il periodo delle maniche che coprono le manine Il periodo dei supermercati Il periodo Canetti Il periodo dei viaggi in treno Il periodo di Porta Portese Il periodo dove c’era solo la masturbazione Il periodo della deregulation Il periodo di Primo Levi Il periodo di Sanremo Il periodo del divorzio Il periodo dell’ascolto Il periodo della vita bassa Il periodo del minimalismo Il periodo di Piazza del Popolo Il periodo dell’autoriduzione Il periodo di Perry Mason Il periodo di Umberto Bindi Il periodo dell’università Il periodo dei film di Bergman Il periodo di Sandro Bolchi Il periodo dell’home page Il periodo del sacco a pelo Il periodo della stufata Il periodo della morte Il periodo dell’ottimizzare Il periodo dell’”altro” Il periodo del politicamente corretto Il periodo di via Mascarella Il periodo delle guerre giuste Il periodo dell’ECM Il periodo dei kamikaze Il periodo dell’usato Il periodo degli scrittori dell’Est Il periodo del web Il periodo del come sei in forma Il periodo del Loden Il periodo delle parrucche Il periodo sempre duro Il periodo dei video Il periodo delle ciglia finte Il periodo della carta carbone Il periodo degli shorts Il periodo dei puzzles Il periodo del design Il periodo di Gino Paoli Il periodo di Alfabeta Il periodo dell’”amicale” Il periodo dei suicidi Il periodo delle bevute Il periodo delle scarpe clark Il periodo del fare legna Il periodo del jazz Il periodo dell’alba Il periodo dei processi Il periodo dei ciellini Il periodo del gioco a scacchi Il periodo del ciclostile Il periodo del piercing Il periodo delle canne Il periodo dei ladri in casa Il periodo delle cene in piedi Il periodo degli sfratti Il periodo del nostro territorio Il periodo dei condoni Il periodo delle televisioni Il periodo dei cataloghi Il periodo la coca mai Il periodo della sodomia Il periodo dell’idrolitina Il periodo delle assembleee Il periodo dell’arredo urbano Il periodo dei docenti Il periodo delle multe Il periodo dei berlusconiani Il periodo dell’attimino Il periodo delle facce da culo Il periodo dei diari Il periodo dei debiti Il periodo del monitoraggio Il periodo delle palestre Il periodo dell’autocoscenza Il periodo degli zoccoli Il periodo della brochure Il periodo del mi consenta Il periodo del profilo Il periodo delle cravatte Kenzo Il periodo dell’art advisor Il periodo chicchissimo Il periodo Dio è morto Il periodo pensa positivo Il periodo dei curatori Il periodo fottiti Il periodo dei comici Il periodo vintage Il periodo di Veltroni Il periodo della Renault 4 Il periodo dei giovani Il periodo della cineteca Il periodo debole Il periodo della Lega Il periodo dei social networks Il periodo del Viagra Il periodo delle badanti Il periodo che non ricordo Il periodo no global Il periodo delle rondini Il periodo del mio giardino Il periodo dei vecchi libri Il periodo osservo i gatti Il periodo dei puttanieri Il periodo del sarò in forma Il periodo degli stranieri Il periodo delle moschee Il periodo mi indigno Il periodo che sfugge… Il periodo che aspettiamo…

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antinoo@variosondamestesso.com

Pensioni, riposo, nuda vita.

martedì, Agosto 23rd, 2011

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Marchetti anker.

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Sino a qualche anno fa, la parola “pensione” per me rappresentava qualcosa di lontano, e persino disdicevole. Devo ammettere che a questa mia avversione generazionale sul termine “pensionato”  contrapponevo, quasi ideologicamente, illusori campi di battaglia e bandiere etiche da piantare nella terra di nessuno. L’ideologia, come la fede, crolla di fronte alla verità. Da anni non ho più nulla da dire in proposito.

Colleghi, ancor giovani, anno dopo anno, recitavano il mantra: “Non vedo l’ora di andare in pensione”. Non mi piacevano.

Potete immaginare, con questa quotidiana contabilità, quale apporto positivo potevano dare al lavoro ed alla comunità (cose in cui ancora credevo), con tale attegiamento dimissionario, simili persone. Erano vincenti, furbi, opportunisti. Da destra e sinistra uniti per fottere lo Stato, uniti anche ideologicamente contro lo Stato.

Era appena ieri, cari moralisti etico-fighettini di sinistra Fotti & Magna!

Così, con 16-18 anni contributivi prendono ora  una pensione da oltre vent’anni, e tra dieci il loro mensile supererà oltre tre volte ciò che hanno versato. Se si parla oggi di aspettativa di vita per loro sarà di anno in anno una magnificenza. Per altri, per una generazione di mezzo (tolta di mezzo?), che si è data da fare a vent’anni, colpita da riforme ansiogene, ci sono aspettative di morte.

In questo Paese sconnesso e paradossale ci sono persone che con la sola distanza anagrafica di 5 anni vivono mondi diversi. Un cinquantenne pensionato siede comodamente al bar insieme ad un sessantenne che andrà in pensione tra cinque anni. La pensione del primo è stata rivalutata; l’altro, quando ci andrà, vedrà la sospensione di un passaggio contrattuale ed il congelamento degli scatti di anzianità. Questa è l’Italia, un Paese affetto da sconnesione psichica, un Paese crudele ove le diseguaglianze convivono nello stesso bar. Questo governo rappresenta in pieno, raggrumandone le malattie storiche, questa patologia genetica dell’iniquità.

Ma l’idea di pensione non può essere ridotta al solo esercizio di contabilità.

Al termine “pensione” preferirei “messa a riposo”. Riposo inteso come merito di una vita attiva, che con il riposo certo non si interromperebbe ma potrebbe indirizzarsi ad altre cose vitali (e contributive). Una vita, degna di essere vissuta, dovrebbe essere così ripartita: un quarto tra infanzia ed adolescenza, due quarti di lavoro, un quarto di vuoto. Un vuoto libero e pagato.

Gli ideologi dell’aspettativa di vita, angeli della morte, becchini (che al contempo tagliano sulla sanità e servizi per spingerti a morire e risparmiare), fanno calcoli come potrebbe farli un demente. Si potrebbe aggiungere ( e la cosiddetta opposizione non arriverà mai a questo…) qualche salvaguardia sulla qualità della vita della persona, sul tempo-vita che non ha prezzo; su quel tempo “liberato” dal lavoro che annuncia una vita ripensata.

Ma la “vita activa” o la “nuda vita”, qui non sono contemplate.

Di conseguenza ci ritroviamo in una trappola paradossale che ci siamo costruiti.

Da un lato la disoccupazione e l’enorme difficoltà di entrare nel mercato del lavoro (ma anche coloro che non “vogliono” lavorare), dall’altro  il Gulag del lavoro, il lavoro imposto, i “prigionieri” del lavoro, che non possono lasciarlo, pur avendone maturato i diritti.

L’Italia è questa:  lavoro coatto per una generazione, porte chiuse per la nuova. Ma se la nuova intende comportarsi ancora così, “bamboccioni” nella via di Damasco, non piangerò domani per la loro povertà.

Pare che la vita non abbia valore: non la vita dell’uomo distribuita in anni faticosi, non la vita vissuta. Il demone dell’ideologia cattolica  protegge un embrione, ma non l’uomo fatto…

Occorrono oggi disubbidienze personali, individuali; microribellioni e destabilizzazioni in piccoli ambiti, spostamenti minimi. Oltre lo sciopero, obsoleto. È il tempo dell’individualità, del soggetto. Tanti piccoli “no”, a costi zero.

Anche se i costi psicologici per molti, nel dire un semplice no, sono insormontabili, abituati al gregge.

L’agosto nazionale a scuola del rancore

giovedì, Agosto 18th, 2011

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marchetti-cattelan

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Gli psicolabili ministri di Eliogabalo-puttaniere (lavoro e pubblica amministrazione) devono ancora smaltire il loro rancore storico e portare a termine il progetto contro l’Italia. Uno di loro ricorda vagamente Joseph Paul Goebbels, per via di menomazioni fisiche che dobbiamo scontare al suo posto, e per la risoluta aggressività verbale. Il lavoro da fare è smantellare la maggiore rappresentanza sindacale (altre si sono già vendute) e la componente sociale dei dipendenti statali (elettoralmente poco significativa per il pornodivo al potere), oltre ad insultare e disprezzare il precariato nel lavoro (quasi 4 milioni di italiani). La sicurezza di questi uomini di Stato, piccoli quanto pericolosi – forse pericolosi proprio in quanto piccoli e banali – è dovuta alla loro fedele appartenenza alla cupola di Eliogabalo-puttaniere che considerava la crisi economica sino all’altro ieri una percezione psicologica, un disturbo ottico. Il prezzo che oggi si chiede di pagare per la credibilità dell’Italia in Europa prevede lo smantellamento di progetti esistenziali di una generazione che ha lavorato per i due terzi della propria vita mentre consegna i giovani ad un futuro oscuro senza prospettive. L’Italia che lavora, che ha lavorato, che vorrebbe lavorare è consegnata nel tritacarne della “credibilità” accellerata. L’altra Italia, ma che è mescolata ambiguamente a questa, ha partecipato all’illusorio festino ingozzandosi di falsità e pulsioni predatotorie alle spalle degli altri. In generale si rimane chiusi nel recinto blindato della famiglia, che va dai genitori ai nonni, proiettando (ancora!) nei figli progetti al di sopra di ciò di cui oggi avremmo bisogno, prolungandone l’adolescenza sino ai trent’anni. Cosa mai avrebbe detto di così scandaloso la buon’anima di Padoa-Schioppa appena qualche anno fa? Il bertinottismo ieri ed il grillismo oggi, insieme ai “puri” di facebook con doppia vita, aiutano nella demolizione di ciò che eravamo e avremmo potuto essere. Qui ormai si aggredisce la nuda vita, la nostra individualità, spaesata e muta, orfana di riferimenti. Come le tragedie familiari e le morti dei nostri anziani tutto avviene sotto il sole satanico di ferragosto, nell’Italia in ferie (per chi può), in un momento in cui siamo deboli. Quando una risposta ci sarà forse sarà troppo tardi. Il buon Vendola prevede un festival di scioperi, che per un dipendente della scuola significa una perdita giornaliera tra i 70-90 euro; altre forme più incisive e meno penalizzanti il poeta salentino non ne propone. Nel sito della FLC- CGIL questo annuncio: “Aspettando l’autunno, il punto della situazione. Sospeso nella settimana di Ferragosto l’aggiornamento quotidiano del sito. Sempre online la rassegna stampa”.

FLC sta per “federazione lavoratori per la conoscenza”. Mi vergogno ormai di questa denominazione, non tanto per la “conoscenza”, quanto per la “coscienza”, che è sparita. A Roma, gli insegnanti trovatisi indietro nelle graduatorie scavalcati da quelli del sud si sono rivolti al Partito della Lega. Of course…

I primi giorni di scuola saranno uguali: le professoresse entreranno nella hall con i loro trolley pieni di libri di testo (utili a loro e non agli studenti); li hanno già cambiati per l’anno in corso ammazzando le famiglie. Si lanceranno istericamente nei tavoli ove sono poggiati i loro nuovi registri personali. Non faranno mai sciopero, se sono cielline tutto va sempre bene, c’è sempre un “ma” ed un “però”; sono macchine, mai stanche anche se stravolte, devono dimostrare la tenuta; mai una pausa di riflessione, una sosta critica… Accettano tutto, non sanno della sospensione del contratto perchè non conoscono un contratto. Sono anche madri, e gli allievi sono figli virtuali. Il distacco pedagogico manca, sono “coinvolte”. I loro allievi con sospensione di giudizio seguono i corsi estivi da loro gestiti e se a settembre la valutazione è minore di quella di giugno vengono comunque e paradossalmente promossi. Centinaia di migliaia di euro vengono spesi nei licei per questi corsi di recupero inutili. Per l’eccellenza, per gli sfigati bravi, non si investe nulla.

I giovani precari partecipano poco alle scelte didattiche perchè dichiarano che forse l’anno prossimo non ci saranno. Quando il loro contratto viene trasformato a tempo determinato, dopo un anno di “prova”, si sentono tranquilli e a riposo, acquistando subito il trolley per la scuola. I giovani docenti a scuola raramente portano il “nuovo”. Sono plasticamente aderenti alle convenzioni ed ai conformismi, dicono sempre “sì” nel luogo di lavoro ed hanno una sudditanza nei confronti dei dirigenti; nei collegi dei docenti non prendono mai la parola – salvo poi sfogarsi teatralmente e narcisisticamente nelle manifestazioni o sui social network – sembrano più vecchi della generazione che è andata in pensione qualche anno fa. È questo che intendo per doppia vita, o se volete: “sconnessione psichica”.

La catastrofe della formazione è anche questa!

Nel retrobottega del macellaio il finanziamento pubblico alle scuole private e le agevolazioni fiscali alle attività economiche della chiesa cattolica non vengono toccate.

A qualche giovane in ascolto…

domenica, Luglio 3rd, 2011

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antonio marchetti aghi

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Forse perchè mi aspetto il superamento della linea d’ombra, spostata sempre più in avanti, quasi la vita fluttuasse senza chiodi nel muro o traslochi dell’anima.

Forse voglio stare con voi per portare qualcuno da questa parte, la mia, visto che dalla vostra parte non mi avete mai portato, o voluto.

Volevo portarvi dalla parte ove ci si mette in gioco; dalla parte del rischio, se si vuole conquistare spazio tempo e futuro.

Forse perchè volevo sentire la vostra voce, che non è mai a voce alta e chiara, ma sussurrata e quasi spaventata; e dallo spavento ne viene quasi un’arroganza, una falsa sicurezza nel gruppo e poi, spesso, tanta ignoranza.

Forse perchè ci si aspetta uno sguardo nuovo, che possa sorprenderci ed indicarci una crisi di-da noi stessi che apre a qualcosa… che non so.

Forse perchè amo vedere in voi l’energia, la flessibilità e la forza, e la scioltezza, di un corpo che avevamo. Ma quanto spreco!

Ancora, noi, ci ritroviamo a faticare,  a svegliare corpi e menti in “riposo”, dentro una nuova età generazionale che si ritiene eterna.

Non sarete eterni; anche a voi toccherà un presente.

Uomini pescaresi: Paolo Di Pietro

giovedì, Giugno 16th, 2011

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paolo e serena.variosondamestesso

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Parlare di Paolo Di Pietro vuol dire parlare di una famiglia, di tanti fratelli, accomunati da un fondo comune di intelligenza, acutezza, e grande spirito critico, estesi in zone persino eccessive di lucidità; “dispendio”, spreco analitico che va a costituire quella Pescara parallela e umbratile poco visibile, ma molto profonda e fondativa.

Anche se, attualmente, i Di Pietro rappresentano una diaspora geografica, sempre pescaresi restano.

I Di Pietro sono accomunati anche da una “r”, “moscia”, che arrota le parole, affila i pensieri, stilizza la dialettica.

Sono forse memorie francesi, o italianamente mediate da antichi itinerari parmensi, non mi è dato per ora sapere ma mi cullo nell’immaginazione e mi piace pensarla così.

Paolo Di Pietro non ha solo rappresentato la condivisione dell’architettura e del design, dell’arte e della critica d’arte e architettonica, delle battaglie sindacali e politiche nella sinistra, ma anche della psicoanalisi, della psichiatria e dell’antipsichiatria, cercando insieme in queste discipline una qualche risposta a tutta una serie di complessità del vivere quotidiano.

Laing, Cooper (l’ex sfascia-famiglie), Basaglia, Schatzman, Bettelheim, Foucault, erano gli autori in quei lontani anni Settanta di cui parlavamo a cena o sul tavolo da disegno.

Il mondo relazionale intorno a Di Pietro riesce ad armonizzarsi anche nelle inevitabili ed epocali crisi familiari, ove vengono predisposte nuove ricomposizioni; equilibrio e civiltà hanno sempre la meglio, mentre la circolazione delle eventuali caselle vuote si sostanziano in nuove mappe esistenziali, rimesse continuamente in gioco sotto il segno dell’autenticità.

Professione e vita, deontologia professionale ed etica dell’esistenza, in Paolo Di Pietro, sono inscindibili.

Per questo la sua migliore opera risiede nella sua dimora.

Un architetto che si fa un autoritratto architettonico (come un odierno e reincarnato Adolf Loos). Come farebbe un pittore, imprimendo nella tela il proprio volto.

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Antonio Marchetti

Nostalgia del futuro

sabato, Maggio 14th, 2011

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Antonio Marchetti per varisonadamestesso

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Qui, nel mondo in cui ci è capitato di nascere, si è sperimentato tutto: l’impensato lo si esperimenta oggi.

Il presente lo viviamo piuttosto preparati, meno coloro che perdono dignità economica e sociale che non hanno voce, a parte i format televisivi a tema ove si procede per emblemi. Gli sconfitti sono muti, mentre i più preparati, per quanto marginali ma che sbarcano il lunario, sono più ciarlieri: amano rigirarsi il giocattolo dell’indignazione tra le mani. Siamo impotenti entrambi, se messi di fronte alla potenza messa in campo; ma noi non ci sentiamo impreparati.

Qualche filosofo in giro per il Paese ad insegnare la “Polis”, qualche viaggio in Europa, qualche libro memorabile, una certa propensione ad avvertire il pericolo nel corpo prima che nella mente, alcune esperienze dolorose, la soglia dell’armonia e dell’equilibrio, l’amore, la passione per la Politica (per il “Politico” si diceva…), la scelta dell’A(a)rte, alla fine ci hanno aiutato a non essere colti di sorpresa.

Mentre ci aggiriamo tra le rovine già cogliamo le possibilità di giorni migliori. Forse l”indifferenza appassionata” perde colpi sulla “passione”, mentre l’indifferenza sembra cedere spazi alla “partecipazione”.

Una partecipazione “negoziata”. Di volta in volta, e non più come astrazione o dittatura.

Lavoro. Il distaccato e il coinvolto.

giovedì, Giugno 24th, 2010

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antonio marchetti milano

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Ma cosè la globalizzazione? Lo spostamento della relazione lavoro- imprenditore in quella schiavo- padrone?

Questo è il Dopo Cristo di Marchionne? La globalizzazione dei mercati azzera le differenze tra democrazie e dittature? La democrazia e i diritti delle persone sono diventati skandalon nel mercato globale?

“Chi sta alla catena sa di cosa si parla”, dice un operaio di Pomigliano.

Le depressioni di chi lavora e quelle di chi non lavora si pongono su pianeti distanti.

Il lavoro è emancipazione, dignità, realizzazione personale, socialità e crescita culturale, autonomia e relazione continua. Anche quando ci si lamenta del lavoro possiamo parlarne, socializzare la lagna.

Il non lavoro è regressione nell’universo individuale (o familiare per chi ha famiglia), frustrazione, vergogna a volte, isolamento. Il tempo sembra fermarsi. Perdere il lavoro significa perdere un mondo, il mondo tra gli uomini. Perderlo ad una età matura significa vedere infranti progetti ed aspettative, e trovarsi inaspettatamente nella povertà. Da anni ascoltiamo la retorica sui  senza lavoro e sulla “gente che non arriva alla fine del mese”. La ascoltiamo da chi non ha questi problemi. L’altra voce, infatti, usa linguaggi non più riconosciuti dalla comunità, il linguaggio della nuda vita, e dunque accantonati.

Mi viene in mente un vecchio e bel libro di Norbert Elias, “Coinvolgimento e distacco”.

Viviamo il mondo con queste due modalità. Oggi il distacco appartiene al lavoro e a chi possiede una “vita activa”, e alla conseguente distanza con la quale si osserva chi il lavoro non ce l’ha o lo ha perso.

Il coinvolgimento appartiene a chi è “dentro” la situazione, dentro la crisi, VIVE la perdita.

È un orizzonte limitato dal bisogno, spazio stretto nella necessità, povero di connessioni critiche proprio perchè non connesso, estromesso, oggi più che mai.

Tra queste due modalità si è interrotta la comunicazione. Mentre per il distacco lo spazio si è ampliato a dismisura (grazie ai media e ai social network), al coinvolgimento è rimasto uno spazio che viene relegato sotto le etichette “avete sempre torto”, “avete un punto di vista sbagliato”, “il mondo è cambiato”, “la globalizzazione…”, “siete Prima di Cristo” (bizzarra questa temporalità del capitalismo  fondata su una  “rivelazione” evangelica) e via dicendo. Il punto di vista del coinvolgimento quasi coincide con la linea di terra;  mentre nella prospettiva del distacco il punto di vista è aereo e sintetico. Le due visioni possono, nelle vicissitudini della vita, scambiarsi di posto. Se questo non accade, e non è augurabile almeno in un senso, potremmo fare lo sforzo di immedesimarci ora nell’uno ora nell’altro. Almeno noi, distaccati e occupati , disincatati e distanti anche se coinvolti!